Nel 2020, si contavano circa 400mila nascite con un calo di ulteriore dieci mila nel 2021. Nella metà degli anni sessanta, nasceva più di un milione di bambini. La popolazione residente in Italia è calata di quasi 384 mila persone: l’equivalente del numero dei cittadini di Firenze. Quello che preoccupa di più è il 2050 quando, secondo l’Istat, le nascite scenderanno sotto la soglia dei 350mila bambini.

La denatalità ha colpito anche il Meridione. Secondo il rapporto Svimez 2018, la sua popolazione negli ultimi quindici anni, è diminuita di 393 mila unità. Impietoso il confronto con la Francia. Nel 2020, sono nati 736.000 bambini, quasi il doppio di quelli italiani. Nel 2019, il tasso di fertilità è stato di 1,86. La crescita è, invece, florida per la popolazione anziana. Con un’aspettativa di vita di 80,3 anni per gli uomini, la più alta in Europa, e di 84,9 per le donne (la terza, dopo Francia e Spagna), da qui a vent’anni, gli over 75 rappresenteranno il 30 per cento dell’intera popolazione.

I residenti under 15 sono scesi sotto gli over 65, che hanno superato anche gli under 25 e, nel 2024, supereranno gli under 35. Entro questo decennio, l’Italia sarà il primo Paese europeo a registrare un’età mediana della popolazione oltre i 50 anni. Un Paese senza nascite è un Paese a rischio. Senza futuro, come Papa Francesco ci ricorda. Sono almeno tre le principali conseguenze che questo scenario genera.

Prima: è messa in crisi la famiglia. La prima formazione sociale in cui la persona fiorisce nell’altra secondo il paradigma personalista costituzionale. Quello di filosofi come Maritain e Mounier. Le società progrediscono di generazione in generazione. Dal punto di vista antropologico, a prendere il sopravvento è un alternativo modello solipistico, improntato alla cura dell’individualità. Già a Milano, la metà delle famiglie è unipersonale.

Seconda: sono messi a rischio i consumi. Banalmente, a differenza dei giovani, gli anziani hanno una più bassa progressione reddituale, per larga parte sono pensionati, domandano un minor numero di beni, di servizi e di mutui, si spostano meno. Di contro, cresce la spesa statale per la loro assistenza sanitaria.

Terza conseguenza: il sistema previdenziale è messo a dura prova. Esso si fonda sul patto intergenerazionale grazie a cui lavoratori attivi sostengono quelli in quiescenza. L’indice di dipendenza dei secondi dai primi in Europa è del 31,4% ma l’Italia registra il record di 35,7%. Sono, in altre parole, meno di tre le persone in età lavorativa per ogni persona anziana. Non ci sono dubbi: urgono soluzioni.

Ma quali? Come suggerisce Martin Buber ne “Il Cammino dell’uomo”, spesso il tesoro è esattamente sotto la stufa di casa. Sbaglia, chi lo cerca lontano. Contro la denatalità, abbiamo a semplice portata di mano due preziose monete. La prima è quella del “work life balance”, quel welfare che si traduce nelle misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in favore delle madri e dei padri. Si tratta, ad esempio, del rafforzamento dei congedi di paternità e maternità, dei permessi retribuiti, del sostegno all’educazione dei figli con servizi di supporto domiciliare, asili nidi, offerta di attività ludiche e sportive e
di servizi di ascolto psicologico.

Guardiamo all’esempio virtuoso della Francia. Sin dal 2002, il congedo parentale è disponibile anche per i padri fino a 11 giorni, esteso nel 2020 a 25 giorni per le nascite dal primo luglio 2021, di cui quattro giorni obbligatori. Anche l’offerta di servizi di assistenza all’infanzia per i bambini piccoli è cresciuta esponenzialmente. La Caisse Nationale des Allocations Familiales ha assunto l’impegno alla creazione di 30.000 ulteriori posti negli asili nido, di ulteriori 1.000 posti di assistente materna e di ulteriori 500.000 posti nei centri ricreativi. Alle aziende che investono in centri di assistenza all’infanzia, è riconosciuto il credito di imposta.

A cadere è il falso mito per cui a far svettare la natalità basta la semplice occupazione. Sia essa di lavoratrici e lavoratori italiani o stranieri. Come dimostra una ricerca dell’Economist del 2017, le donne immigrate, tra cui le donne rumene e albanesi, hanno un tasso di fecondità basso al pari di quello delle donne italiane, sceso all’1,48 del 2008 all’1.32 del 2017.

La seconda moneta è quella delle detrazioni scali e di ulteriori benefici economici in favore delle famiglie che hanno figli o che progettano di averli. Ciò secondo criteri di progressività basati sull’applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente, c.d. Isee. Sono certo di una cosa: molti lettori sono assaliti dal dubbio che alcune di queste misure una legge già le abbia promosse. Non si sbagliano. A queste soluzioni, guardava il famoso Family act, la legge delega n. 32 del 2022. L’aumento dei congedi di paternità e l’assegno unico, ultimamente rimaneggiato, sono soltanto i due esempi più calzanti. E allora, ciò che resta da fare è guardare meglio sotto la “nostra stufa”.

Gli Stati Generali per la Natalità che prederanno il via oggi sono un importante occasione per farlo. Molte culle e poche tombe. È così che mi piacerebbe esordire. Prima del 2050.