La guerra in Ucraina
Da Gorbachev a Zelensky: la storia non si ripete, però spesso fa rima con se stessa

L’humus da cui evolvono le condizioni di pace reciprocamente ricevibili tra la Russia e l’Ucraina sarebbe il riconoscimento di Kiev degli oblast, o parte di essi, annessi dai russi. La rinuncia esplicita, solenne, irreversibile di Kiev di adesione alla NATO.
Un divieto per iscritto questa volta, non più una “broken promise” come quella fatta a suo tempo dagli USA a Mikhail Gorbachev di rinunciare alla possibilità di espandere l’influenza americana ai paesi dell’ex blocco di Varsavia (verba volant…), ma un trattato ad hoc per il conseguimento di questo scopo. Per converso Kiev otterrebbe ciò per cui ha combattuto con strenuo eroismo: la sovranità dell’Ucraina. Non un esito proprio scontato se si confrontano le forze antagoniste sul campo di battaglia. E la mirabolante retorica di Putin circa la “denazificazione” dell’Ucraina e la “necessità di smilitarizzarla” che fine farebbe? Obiettivi – spiegava un Putin impettito e intransigente – salvifici e inderogabili per l’esistenza stessa della Grande Madre Russia.
Washington, per bocca del suo vice-presidente è stata perentoria: “Gli Stati Uniti potrebbero colpire Mosca con sanzioni e potenziali azioni militari se il presidente russo Vladimir Putin non accetterà un accordo di pace con l’Ucraina che garantisca l’indipendenza a lungo termine di Kiev. Ci sono strumenti economici con cui fare leva e ci sono ovviamente strumenti militari” che gli Stati Uniti potrebbero usare contro Putin, conclude Vance intervistato dal Wall Street Journal. D’altronde per assicurarsi lo sfruttamento delle “terre rare” di cui l’Ucraina è disseminata e in questa partita soppiantare gli appetiti di Putin, Trump è consapevole che una “sovranità” a Kiev, benché eterodiretta da Washington, bisogna garantirla. E gli ucraini, al pari dei paesi dell’Europa orientale – il cosiddetto Estero vicino – che hanno storicamente subìto le angherie dei russi, preferiscono l’abbraccio dell’egemone lontano, anzi lontanissimo, a quello dell’asfissiante dirimpettaio.
Assistiamo ancora a ciò che di primo acchito sembrerebbe essere un paradosso: a una Russia aggressiva, che infrange le regole dell’ordine mondiale che essa stessa ha contribuito a creare nel ’45, fa da contraltare un connotato di lunga durata e ben riconoscibile della politica internazionale americana, al di là delle quisquilie a cui indulgono coloro i quali si illudono di rintracciare differenze sostanziali tra repubblicani e democratici: il soft-power volto alla conquista di nuovi mercati e, in Ucraina, dei metalli e minerali delle terre rare. Diceva Mark Twain: “La storia non si ripete, però spesso fa rima con se stessa”.
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