Due politici agli opposti (almeno in parte, ma ci torneremo), ma uniti nell’opposizione dell’ormai prossimo esecutivo guidato da Mario Draghi. Contro il governo dell’ex numero della Banca centrale europea in Parlamento ci sarà soltanto Fratelli d’Italia, il partito guidato da Giorgia Meloni che si era appellata al centrodestra per una astensione e che stamattina ha sottolineato che “faremo la valutazione sul voto alla fine, quando avremo la squadra e il governo”.

Fuori da Camera e Senato da ieri sera c’è ufficialmente Alessandro Di Battista, il Che Guevara di Roma nord che ha lasciato il Movimento 5 Stelle dopo il sì sulla piattaforma Rousseau alla fiducia a Mario Draghi. Un duo quantomeno insolito: una figlioccia della destra sociale romana lei, un ‘barricadero’ di pseudo-sinistra lui.

Due che al governo insieme non ci sono mai stati, Fratelli d’Italia era all’opposizione anche dell’esecutivo gialloverde fortemente sponsorizzato dallo stesso Dibba, e che nei prossimi giorni si ritroveranno assieme al tavolo dell’opposizione. Dalla Meloni un mezzo assist, o quantomeno un attestato di vicinanza, è già arrivato: “Non mi pare ci siano stati in questi anni punti di contatto con Di Battista, ma rispetto la sua posizione all’interno del Movimento – ha spiegato la leader di FdI – Si è battuto per il no, con un quesito normale probabilmente avrebbe anche vinto, perché il quesito su Rousseau era surreale e forzato, e giustamente con la vittoria del sì si è fatto da parte”.

Un tavolo comune che farà sicuramente felice Vittorio, papà di Dibba: fascista convinto, ex consigliere dell’Msi e difeso a spada tratta da Alessandro, che lo definiva “il fascista più liberale che conosca, un fascista per le unioni civili”.

TRUMP – Ma i punti di contatto tra i due, che la Meloni nega, ci sono stati. Entrambi, come ampiamente noto, hanno condiviso la simpatia per Trump: Fratelli d’Italia votò contro l’emendamento presentato dal gruppo socialista alla relazione dell’eurodeputato McAllister, nel quale si condannavano le violenze di Capitol Hill, mentre la Meloni fu l’unico politico italiano invitato al National prayer breakfast, dove intervenne l’allora presidente Usa; Di Battista invece si sperticava in lodi del tycoon perché “in politica estera si sta comportando meglio di tutti i presidenti Usa precedenti, incluso quel golpista di Obama”.

SOROS – Altro punto di “gemellaggio politico” riguarda il nemico George Soros, il miliardario ungherese da tempo al centro di una serie di complotti politici internazionali di ispirazione anti-semita. Per la Meloni c’era infatti Soros dietro la presunta invasione dei migranti nell’Europa: “Ci sono realtà che lavorano per muovere verso l’Europa centinaia di migliaia di africani, pakistani, afghani, perché hanno un disegno: immettere nel mercato europeo centinaia di migliaia di disperati perché questo consente di avere manodopera a basso costo. Non è un caso che a finanziare queste ong ci sia Soros, la finanza speculativa. C’è anche un disegno di destrutturazione della società”, affermava la Meloni a Radio Cusano Campus.

Su Soros, evocando polemiche complottiste, si era espresso anche Dibba in merito al destino di Radio Radicale, a rischio per il taglio dei fondi statali all’editoria. “La cara Emma (Bonino, ndr) potrebbe chiamare il suo amico George Soros e, dopo averlo ringraziato per i 200mila euro appena donati da lui a +Europa, potrebbe chiedergli per Radio Radicale l’1% di tutto ciò che incassò nel 1992 con quella speculazione che fece a danno della lira e della nostra economia. Speculazione legittima si dirà, come è legittimo tagliare i fondi all’editoria aggiungo io”, diceva l’ormai ex pasdaran 5 Stelle, mettendo insieme la storica operazione finanziaria compiuta dal finanziere ungherese e strizzando l’occhio alle teorie del complotto che lo riguardano.

IL CASO BIBBIANO – Sullo stesso fronte Meloni e Di Battista hanno combattuto anche la “battaglia di Bibbiano”, l’indagine sulle presunte irregolarità e abusi nella gestione degli affidi di minori nella cittadina in provincia di Reggio Emilia. Inchiesta utilizzata strumentalmente il Partito democratico, che esprimeva l’allora sindaco: accuse che furono poi ridimensionate, così come suo ruolo nei presunti abusi, su cui la magistratura sta ancora indagando.

L’ex grillino aveva addirittura nel luglio 2019 aveva promesso la pubblicazione di un libro, quando l’inchiesta non era stata ancora chiusa, lavoro ovviamente scomparso. Un Movimento 5 Stelle che definiva il Pd, tramite Luigi Di Maio, il partito “che toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli”, beccandosi una querela.

Una strumentalizzazione politica dell’inchiesta che aveva visto assoluta protagonista anche la Meloni, arrivata a farsi filmare durante una diretta Facebook davanti al cartello stradale di Bibbiano: “Siamo stati i primi ad arrivare, saremo gli ultimi ad andarce”. Meloni che sui social parlava di “bambini strappati dai loro genitori per essere affidati al circuito caro alla sinistra”.

Un caso che, come ricordato dal presidente vicario della Corte d’Appello di Bologna Roberto Aponte in apertura dell’anno giudiziario, “per effetto di una martellante campagna mediatica, ha esposto tutto il sistema della Giustizia minorile e familiare, come era prevedibile, al sospetto generalizzato e alle rivendicazioni di soggetti interessati”, generando “una vera e propria gogna mediatica” nei confronti dei magistrati del tribunale minorile, “vittime di innumerevoli episodi di minacce che, comunque, non hanno minimamente scalfito il sereno svolgimento dell’attività giurisdizionale dei colleghi”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia