La sentenza di I grado
Dopo 40 anni Bellini condannato per la strage di Bologna, ma non parlate di giustizia…
Paolo Bellini è stato condannato all’ergastolo, con un anno di isolamento diurno. Che sia lui il terrorista che ha materialmente deposto la bomba alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, non è ancora verità processuale: lo sarà se la sentenza di ieri sarà confermata in appello e in Cassazione e non è affatto detto che sarà così. I familiari delle vittime si sono abbracciati in aula esclamando: “Giustizia è fatta”. Non è vero. Non c’è giustizia quando un imputato finisce alla sbarra per una intercettazione che parla dell’“aviere”, e chi se non lui che ha la patente di volo?, poi l’intercettazione viene ripulita con le tecnologie oggi disponibili, si scopre che non di “aviere” bensì di “corriere” si parla e la corte se la prende con la scientifica di Roma, rea di aver ripulito quella registrazione. Chi ve l’ha chiesto? Come vi siete permessi?
Non si può parlare di giustizia quando non viene trovato e neppure cercato un sol contatto tra l’imputato che avrebbe deposto la bomba e quelli che secondo le sentenze avrebbero materialmente organizzato la mattanza, lo avrebbero guidato e diretto. Si erano mai viti? Si conoscevano? Erano a conoscenza della reciproca esistenza? Non si direbbe. Non c’è un solo testimone, un solo indizio che lo attesti. Sono quisquilie, particolari ininfluenti. Che ci vuole a organizzare una strage, la peggiore nella storia della Repubblica, senza neppure incontrarsi. Non si può parlare di giustizia quando l’unica prova è il riconoscimento di un volto tra la folla da parte di una ex moglie che in precedenza aveva assicurato che non si trattasse del soggetto in questione poi, a distanza di decenni, ci ha ripensato. Sarebbe arduo già definire un simile riconoscimento un indizio. Qui è stato considerato più che una prova: la pistola fumante.
Non si può parlare di giustizia quando c’è un corpo letteralmente polverizzato, dunque presumibilmente quello di chi si trovava più vicino all’ordigno, e non si sa di chi sia ma la Corte rifiuta ogni accertamento. Anche quando il principale esperto di dna in Italia dichiara di avere ragionevoli probabilità di identificare l’identità ignota se solo gli fosse permesso di procedere. Invece gli è vietato. A Bologna sono stati condannati anche due imputati minori, l’ex amministratore dei condomini di via Gradoli Domenico Catracchia per false informazioni al pm e l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, per depistaggio. Non potevano essere invece condannati i presunti mandanti, nomi eccellenti, il vertice della P2, Gelli e Ortolani, il capo degli Ufficio Affari Riservati del Viminale D’Amato, l’allora direttore del Borghese, Tedeschi. Sono tutti morti.
Per sapere se la Corte li considera colpevoli, sulla base di uno scarabocchio che il defunto Gelli non ha purtroppo avuto modo di spiegare altrimenti, bisognerà probabilmente attendere le proverbiali motivazioni della sentenza, che in questo caso sarebbero però la sentenza, sia pure postuma e a futura memoria. Non c’è giustizia e non c’è verità. Cosa sia successo a Bologna in quel tragico giorno di inizio agosto, chi abbia voluto la mattanza e perché resta un mistero avvolto nella carta opaca di sentenze ingiuste.
© Riproduzione riservata








