Gli organizzatori della strage del 2 agosto 1980, o almeno quelli che la Procura generale di Bologna come tali ha indicato ieri, sono tutti morti. Nomi migliori, anzi peggiori, per l’opinione pubblica, non si sarebbero però potuti rintracciare: per il lettore medio sono sinonimi di colpevolezza a priori. Licio Gelli, il gran maestro della Loggia P2: non c’è intrigo vero o presunto, non c’è trama losca che non sia stata fatta risalire a Gelli, condannato in realtà solo per il depistaggio del 1981 collegato alla strage e per la bancarotta fraudolenta del banco Ambrosiano. Umberto Ortolani, “mente” della Loggia e secondo solo al venerabile nella gerarchia della loggia, già prosciolto per la strage. Federico Umberto d’Amato, potentissimo capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale dal 1971 al 1974 ma di fatto l’uomo al comando dei servizi segreti già da un decennio e rimasto secondo molti alla guida anche dopo la defenestrazione ufficiale. Mario Tedeschi, notissimo giornalista di destra, direttore del celebre Il Borghese. Tedeschi, più che contribuire a organizzare il massacro, si sarebbe occupato della gestione mediatica del fattaccio.

La Procura indica poi come coinvolti nell’oscura trama, come depistatori, l’ex generale del Sisde Quintino Spella, che è vivo ma ultranovantenne, un ex carabiniere di Genova, Piergiorgio Segatel, e l’amministratore di condominio romano Domenico Catracchia, che gestiva gli appartamenti di via Gradoli. Il vero pezzo forte dell’inchiesta, almeno tra i vivi, è dunque Paolo Bellini, ex militante emiliano di Avanguardia nazionale, condannato definitivamente nel 2007 per l’omicidio del militante di Lotta continua Alceste Campanile, era stato prosciolto nel 1992 ma la procura generale, dopo aver avocato l’inchiesta per la quale la procura ordinaria aveva chiesto l’archiviazione nel 2017, aveva ottenuto la revoca del proscioglimento. In un filmino in super 8 girato alla stazione poco prima dell’esplosione compare in un fotogramma uno che gli somiglia.

I tre condannati in via definitiva per la strage, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, e quello appena condannato in primo grado, Gilberto Cavallini, sarebbero secondo le sentenze una sorta di anello intermedio: avrebbero organizzato la strage per conto dei pupari-mandanti ma senza piazzare materialmente la bomba. La catena, secondo gli inquirenti, sarebbe ora completa. I militanti dei Nar condannati, per la verità, non hanno mai incontrato Gelli né altri pezzi grossi della P2 e non è mai emersa alcuna prova su contatti del genere. Paolo Bellini non ha mai militato nei Nar. Lo stesso depistaggio per cui è stato condannato Gelli, insieme ai vertici dei servizi segreti dell’epoca, era in realtà un “impistaggio”: intorno alla valigia fatta ritrovare sul treno Taranto-Milano il 13 gennaio 1981 erano disseminati segnali che indicavano proprio i Nar, allora neppure indagati. In questi casi la frase di circostanza “bisogna leggere le carte” è in effetti un imperativo reale. Ma a botta calda e alla luce dei precedenti processi per Bologna evitare il sospetto della bufala è impossibile.