Tra tre mesi, in gennaio, verrà celebrato a Bologna il processo d’appello contro Gilberto Cavallini, l’esponente dei Nar condannato nel 2020 all’ergastolo per concorso in strage. Cavallini avrebbe fornito il supporto logistico agli organizzatori della strage, Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Accusato di essere l’esecutore materiale, colui che ha deposto l’ordigno, è Paolo Bellini, figura ambigua attualmente sotto processo. Gli ideatori del massacro, secondo l’impianto accusatorio non sono più processabili, essendo tutti trapassati.

Elemento centrale, nel nuovo processo, sarà il caso dei resti attribuiti a Maria Fresu, la ragazza sarda che si trovava nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, con due amiche e la figlia, il 2 agosto 1980. Il principale fatto nuovo emerso nel processo di primo grado è infatti la certezza che quell’attribuzione, apparsa da subito molto discutibile e improbabile, è certamente sbagliata. I resti attribuiti a Maria Fresu sono di un’altra donna, come ha dimostrato la prova del dna, inesistente nel 1980 e in seguito, per decenni, mai eseguita nonostante le continue richieste. Quei resti, di fatto solo un lembo facciale, sono compatibili solo con 7 delle 85 vittime della strage ma in primo grado la Corte ha rifiutato di disporre in quei 7 casi un esame del dna che avrebbe permesso di accertare se la “maschera facciale” attribuita alla Fresu risale a una vittima già nota o se si tratta invece di una “vittima numero 86” ancora ignota.

La Corte d’appello ha ora respinto una richiesta diversa avanzata dal collegio di difesa: quella di prelevare altri campioni di dna dai resti in questione per farli analizzare dal consulente di parte della difesa, Emiliano Giardina. Si tratta di uno dei massimi esperti italiani di genetica, noto per aver intuito sulla base di circa 10mila analisi del dna che l’assassino della piccola Yara Gambirasio doveva essere un figlio illegittimo, pista che portò poi alla scoperta e alla condanna di Massimo Bossetti. Giardina ha accettato l’incarico di consulente non per motivazioni politiche o ideologiche ma puramente scientifiche, sostiene di preferire sapere pochissimo dei casi a cui lavora per poter essere più obiettivo.

La difesa ha scelto di chiedere un nuovo esame del dna del lembo facciale attualmente non attribuito a nessuno invece di insistere per la comparazione con le 7 vittime compatibili con quei resti, probabilmente, sulla base delle motivazioni della sentenza di primo grado, che sia pur confusamente, affermano che l’analisi sarebbe inutile dal momento che quella “maschera facciale” non può essere delle 7 vittime note. Ciò però significa ammettere che c’è una vittima ancora sconosciuta, come invece la sentenza stessa esclude affermando chiaramente che “non ci fu nessuna 86/a, 87/a, 88/a vittima”. E si tratterebbe di una donna che, per essere stata quasi polverizzata dall’esplosione, doveva trovarsi molto vicina all’ordigno al momento dello scoppio: proprio la stessa ipotesi di una esplosione accidentale avvenuta nel corso di un trasporto, sostenuta sino all’ultimo dei suoi giorni da Francesco Cossiga, che all’epoca era primo ministro, e che combacerebbe con questa ricostruzione.

Giardina è in grado di eseguire analisi molto più sofisticate e approfondite di quelle fatte sinora. «Io – ha detto al Corriere di Bolognainterrogo il dna per avere spunti investigativi. Le informazioni che possiamo avere sono: colore di occhi, capelli e pelle, origine geografica. Non un vero identikit ma qualcosa che ci somiglia molto». Gli esami sin qui operati hanno indicato solo “un profilo”. È possibile, anche se non certo date le condizioni del reperto, che l’analisi dell’origine ancestrale e del frenotipo forniscano informazioni molto più precise su quella che al momento è “Ignota 85”.

La Corte ha però respinto la richiesta con due motivazioni: il fatto che l’analisi sia già stata eseguita e le condizioni “compromesse” del reperto. La prima è infondata, dal momento che le analisi sin qui seguite sono elementari e non approfondite. La seconda è reale, ma se da un lato rende impossibile garantire il successo dell’esame dall’altro non lo esclude. Giardina ritiene che ci siano il 50% di probabilità a favore.

La Corte ha peraltro lasciato aperto uno spiraglio, affermando che una nuova perizia potrebbe «eventualmente disporsi nel corso del giudizio d’appello, nel pieno contraddittorio delle parti». Probabilmente la nuova perizia non verrebbe affidata a Giardina, in quanto di parte, ma a un perito super partes. Il docente dell’università di Tor Vergata spera però di poter partecipare come consulente.

Probabilmente la difesa chiederà comunque il raffronto con il dna delle altre 7 vittime compatibili per chiarire definitivamente l’esistenza dell’ottantaseiesima vittima. Potrebbe naturalmente trattarsi di una persona che con la bomba non ha nulla a che vedere e la cui scomparsa per qualche motivo non è mai stata denunciata. Proprio per questo interrogare quel dna per ottenere quante più informazioni possibili sarebbe importante.