Ho letto l’articolo di David Romoli sulla condanna di Gilberto Cavallini per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Bologna è la mia città. In quel giorno e nei giorni seguenti io ero presente e attivo poiché svolgevo il ruolo di segretario generale della Cgil dell’Emilia Romagna. La mia esperienza sindacale venne scandita da tanti episodi della strategia del terrore. Negli undici anni trascorsi nella mia regione ne capitarono di tutti i colori: la strage del treno Italicus nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974; le sommosse del 1977 dopo l’uccisione dello studente Francesco Lorusso (nel settembre Bologna fu persino teatro di una manifestazione internazionale contro la repressione); la strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 e, per finire con le bombe, l’attentato al Rapido 904, la c.d. strage di Natale del 23 dicembre 1984. Non vorrei dimenticare il DC9 dell’Itavia esploso sul cielo di Ustica sempre in quel maledetto 1980. Ma in quel caso – doloroso – funzionò il depistaggio e la strage venne imputata ad un “cedimento strutturale” del velivolo. Ovviamente ero in servizio, con altri incarichi, anche il 12 dicembre del 1969 quando vi fu l’attentato di Piazza Fontana e il 28 maggio del 1974 quando l’esplosivo colpì una manifestazione sindacale in Piazza della Loggia, a Brescia. Non mi sono perso le stragi di Capaci e di via D’Amelio a Palermo, nel 1992, né, anche se ormai ero in uscita, il “bombardamento” attribuito a Cosa Nostra nel 1993.
Torniamo, però, alla strage di Bologna di cui in un’ala della stazione – quella esplosa – sono evidenti i segni della ricostruzione, mentre un orologio di altri tempi segna le 10.25, l’ora della deflagrazione; il medesimo orario che è rimasto al centro delle giornate annuali della memoria. Anni or sono, trovai singolare che la Procura di Bologna, il giorno precedente la ricorrenza della strage del 2 agosto 1980 avesse chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sulla pista palestinese suggerita nelle conclusioni della commissione Mitrokhin. Per quella strage erano già stati condannati, in via definitiva, tre militanti dei Nar, Mambro, Fioravanti e Ciavardini, i quali, benché autori di delitti e reati di sangue, per quell’attentato (85 morti e più di 200 feriti) si sono sempre dichiarati innocenti.
La cosa che non sono mai riuscito a spiegarmi è la seguente: è provato che la notte tra l’1 e il 2 agosto pernottò in un albergo bolognese un terrorista bombarolo tedesco, Thomas Kram, che insieme a Margot Christa Froelic, anch’essa indagata, faceva parte delle Cellule rivoluzionarie, un gruppo armato responsabile di decine di attentati tra il 1973 e il 1995. La presenza a Bologna di Kram, nella sera precedente l’attentato, fu definita nell’ordinanza degli inquirenti “incomprensibile” e “ingiustificata” tale da alimentare “un grumo di sospetto”. Eppure secondo la Procura non era provato il suo coinvolgimento nella strage. Forse significava che non l’avevano visto mettere la valigia con la bomba nella sala d’aspetto di seconda classe? Al contrario, furono per caso visti Giusva Fioravanti e la Mambro aggirarsi quella mattina in piazza Medaglie d’oro? Fu forse provato che i due e il loro complice fossero a Bologna la notte del 1° agosto? Eppure alla magistratura, di solito, i teoremi piacciono. Quello della pista palestinese sarebbe stato un teorema perfetto. Si partiva dal c.d. lodo Moro, in base al quale l’Italia diventò una zona franca per i terroristi palestinesi a patto che evitassero di commettere attentati da noi. Ma qualche cosa andò storto. Venne arrestato uno dei loro caporioni sull’autostrada con un missile in auto. La frittata era fatta: il terrorista fu condannato e fu respinta la richiesta di messa in libertà presentata dai suoi legali alla fine di maggio del 1980. Di qui la rappresaglia. Gli ingredienti ci sarebbero stati tutti: la trattativa segreta, il depistaggio dei servizi (potevano forse svelare un patto scellerato?), i mandanti. Ma tutto ciò non fu ritenuto sufficiente, neppure per proseguire le indagini. Si affermò persino che dell’esistenza di un lodo Moro – di cui si è parlato anche in tutti i bar Sport della Penisola – non esistevano le prove, come se un accordo siffatto potesse essere depositato in copia dal notaio. Così maturò la richiesta di archiviazione.
Poi avvenne ciò che per me rappresentò un colpo di scena: la pubblicazione del saggio I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana, scritto da Rosario Priore con Valerio Cutonilli ed edito da Chiarelettere (2018). Rosario Priore è stato uno dei magistrati più impegnati nelle inchieste sui più gravi episodi di terrorismo: da Ustica, al caso Moro, all’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Priore, nel saggio, ha ricostruito gli antefatti e lo scenario della strage del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna, attribuendone – apertis verbis – la responsabilità all’estremismo palestinese, e accreditando la versione dei fatti (quella pista) che era stata archiviata. Rosario Priore ricordava pure (svelando un altro possibile movente) che nella stessa mattina del 2 agosto 1980, mentre saltava in aria un’intera ala della Stazione di Bologna, il sottosegretario agli Esteri del Governo Cossiga, Giuseppe Zamberletti, sottoscriveva a Malta un trattato ritenuto ostile dalla Libia di Gheddafi.
Per chi scrive, dopo quella lettura, i dubbi divennero ancor più giustificati e legittimi: un ex magistrato della competenza, dell’esperienza e della serietà di Priore (il quale, allo scopo di accertare i fatti, ottenne persino il recupero – da fondali profondi – della carcassa dell’aereo esploso/caduto/abbattuto in mare ad Ustica) non avrebbe messo la faccia sulla denuncia dettagliata e documentata di un probabile depistaggio in direzione opposta a quella delle indagini ufficiali. Come se i c.d. servizi deviati – dei quali si è tanto parlato – avessero voluto orientare le indagini il più lontano possibile da quella pista che non ha mai convinto gli inquirenti. In fondo una “strage fascista” era “politicamente corretta” e non dava adito a conseguenze di carattere internazionale in un nido di vipere come il Medio Oriente.