Capita anche questo: la Scientifica, ripulendo un nastro registrato decenni fa con i mezzi moderni e usato come prova d’accusa in un importante processo scopre e dimostra che era stato male interpretato, causa fruscio e registrazione “sporca” e che le parole pronunciate sono tutt’altre da quelle esibite come indizio a carico dell’imputato. La procura non solo ignora il particolare e insiste nel considerare valida la prima versione ma rampogna in aula e molto severamente la Scientifica di Roma: come si sono permessi di ripulire quel nastro senza che la Procura stessa lo avesse chiesto? Il tutto nel silenzio e nella complicità, come se in un comportamento simile non ci fosse nulla di strano o nulla da ridire.

Capita, naturalmente, in uno dei tanti processi per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 che, nel complesso, compongono un dizionario enciclopedico esaustivo di come non si dovrebbe amministrare la giustizia e spiegano nel dettaglio cosa significhi allestire processi per non cercare la verità. La procura di Bologna ha chiesto la condanna all’ergastolo per Paolo Bellini come autore materiale della strage di Bologna, nel processo che vede “imputati”, sul tribunale della storia però non su quello degli uomini essendo tutti passati nel frattempo a miglior vita, Licio Gelli, Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato come organizzatori materiali della strage e l’allora direttore del Borghese Mario Tedeschi come complice, una specie di addetto stampa degli stragisti. La “prova schiacciante” contro Bellini è il suo riconoscimento da parte della ex moglie, Maurizia Bonini, in un video girato il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. La testimone aveva già negato più volte in passato quel riconoscimento ma ciò, per l’accusa, la rende non meno ma ancor più credibile: “Deve esserle costato molto”.

Il secondo elemento accusatorio in ordine di importanza, e quello che ha portato Bellini sul banco degli imputati, è una registrazione in cui Carlo Maria Maggi, neofascista veneto condannato per la strage di Brescia e scomparso nel 2018 sembrava dire: “Nei nostri ambienti erano in contatto con il padre di sto aviere… dicono che portava una bomba”. Bellini aveva appunto il brevetto di pilota: “l’Aviere”. Il nastro ripulito rivela però che la frase di Maggi era diversa. Nessun “aviere” ma “lo sbaglio di un corriere”. La procura non solo se ne frega ma si scaglia contro la Scientifica: “La Polizia Scientifica, inopinatamente e senza alcun incarico, estendeva la propria attività ad accertamenti non richiesti, forieri di un’unica informazione in contrasto con il dato pacificamente riscontrato in tutte le precedenti trascrizioni […] Se fortemente criticabile appare il motivo dell’autonomo accertamento ancor più censurabile è il metodo seguito dai tecnici della Scientifica per l’approdo alle conclusioni esposte”. Sic.

Non è la prima volta che la magistratura di Bologna, Procura e Tribunale, resiste a qualsiasi tentativo di chiarire elementi che possano mettere in dubbio una verità che è data per certa senza bisogno di essere accertata. Il caso del “lembo facciale” attribuito erroneamente a Maria Fresu è noto. Fare ulteriori accertamenti per capire se quel “lembo” possa essere attribuito a un’altra vittima o se si debba accettare la presenza di una vittima ignota che però era tanto vicina all’esplosivo da essere stata polverizzata, dunque forse il “corriere” che stava trasportando la bomba, e di andare anche oltre sarebbe possibile. Emiliano Giardina, che è tra i massimi esperti italiani in materia e tra i principali tecnici a essersi occupato delle oltre 10mila analisi del dna disposte nel caso dell’omicidio di Yara Gambirasio, ritiene che ci sia il 50% di probabilità di riuscire a identificare quei resti. La spesa sarebbe oltretutto modica: 800 euro. Il Tribunale preferisce non sapere e nell’ottobre scorso ha deciso di respingere la richiesta della difesa di nuove analisi del dna.

La riesumazione dei lembi ritenuti a torto appartamenti a Maria Fresu ha evidenziato però nuove aree che meriterebbero un chiarimento. Lo aveva chiesto Danilo Coppe, docente all’università di Bologna e il più importante “esplosivista” in Italia, e nominato perito sull’esplosivo usato nella strage di Bologna. Coppe, che ha raccontato la vicenda insieme a molte altre nel suo libro edito da Mursia Crimini esplosivi, aveva chiesto la riesumazione di quella salma proprio perché, dato lo stato dei resti, si tratta probabilmente della persona che più di tutte si trovava vicina all’esplosivo. Essendo stati tutti i reperti distrutti si trattava di una delle poche possibilità di risalire all’esplosivo. Il risultato della perizia è, secondo lo stesso Coppe, “rivoluzionario”. Proprio lavorando sui capelli attribuiti alla Fresu l’esplosivista ha concluso che le perizie precedenti erano sbagliate e che l’esplosivo adoperato non è quello che si pensava. Si tratta di una scoperta significativa perché mentre con l’esplosivo precedente la valigia con la bomba sarebbe stata molto pesante, tanto da poter essere trasportata solo da un uomo molto robusto, l’esplosivo effettivamente adoperato è molto più leggero, tale da poter essere trasportato da chiunque.

Il fatto che l’esplosivo non sia quello sin qui indicato smentisce anche la ricostruzione per cui a Brescia, sull’Italicus e a Bologna sarebbe stato adoperato lo stesso materiale, proveniente dunque, presumibilmente, dalla stessa partita. In realtà, spiega Coppe intervistato da Umberto Baccolo per il quotidiano on line SprayNews.it «anche a piazza della Loggia e all’Italicus avevano attribuito la stessa natura di esplosivo che in realtà poi non era, e quindi in tre su tre della stragi di Stato le analisi sono sicuramente sbagliate». Coppe arriva quindi alle stesse conclusioni di Giardina: «Ho stabilito che l’esplosivo potesse essere in una quantità tra i 10 e i 15 kg e il fatto che ci fosse una giovane donna completamente distrutta dall’esplosione, una donna mai cercata da nessun parente o amico, lascia aperte ipotesi clamorose. Le analisi da fare erano e sarebbero tutt’ora semplici». Se qualcuno fosse interessato alla verità, in effetti, lo sarebbero ma non è il caso della procura di Bologna.