Se vuoi tradurre “avvocato” in inglese e usi la parola “advocate” ti stai probabilmente facendo ingannare da un falso amico, perché la traduzione corretta è “lawyer”. Il concetto di “advocate” fa riferimento a coloro i quali pubblicamente supportano una certa causa o posizione politica o sociale, in modo tale da rafforzarla e persuadere il maggior numero possibile di persone sulla bontà della causa stessa. Esiste tra l’altro un modello teorico formulato dagli economisti Dewatripont e Tirole (il secondo premio Nobel per l’economia, peraltro) che è contenuto in un articolo precisamente intitolato “Advocates” e che si focalizza sui vantaggi complessivi che si ottengono – al fine di accumulare informazioni veritiere – quando in una disputa tra due posizioni diverse/opposte vi sono esperti che agiscono portando argomenti a favore di una delle due tesi, e che sono di fatto assoldati (o convinti a intervenire gratuitamente) da coloro che hanno un interesse a far vincere ciascuna delle due posizioni. Banalmente, gli avvocati che rappresentano persone fisiche o giuridiche in una disputa giudiziaria o extra-giudiziaria sono “advocates” rispetto alla posizione che vanno a difendere e a sostenere nelle sedi appropriate.

Ma -facendo leva sul poco postmoderno Aristotele e sulla sua logica – bisogna serenamente affermare che non tutti gli “advocates” sono avvocati. La somiglianza tra i due termini ha forse indotto la dottoressa Francesca Albanese, relatore speciale per le Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, a spiegare in televisione – ospite di Nicola Porro – come lei faccia l’avvocato (“faccio l’avvocato, mi occupo di rifugiati e migranti ”, testualmente) per poi precisare su Facebook di avere utilizzato impropriamente il termine stesso a motivo del fatto di essere solita pensare “traducendo a mente che ormai pensa in inglese”, pur non essendo formalmente un avvocato secondo l’ordinamento italiano . Si dà il caso che essa fosse ripetutamente chiamata “Avvocato Francesca Albanese” negli anni scorsi, e lo stesso Piero Fassino durante un’audizione parlamentare presso la Commissione Esteri l’aveva apostrofata così senza ricevere alcuna smentita dall’Albanese stessa.

In risposta a un tweet di Antonio Monteleone de Le Iene che rimarcava la questione, la dottoressa Albanese ha preso la peculiare scelta di mettere sotto al proprio testo (un poco conciliante “Tu te la vedrai con i miei legali”) la foto del certificato di avvenuta conclusione della pratica forense, datata 30 dicembre 2004. Si tratta di una scelta curiosa, tanto curiosa da avere indotto la stessa Albanese a cancellare il tweet, in quanto per essere qualificati come avvocati non basta avere concluso il praticantato ma è necessario avere passato l’esame di abilitazione alla professione forense ed essere iscritti all’ordine degli avvocati. Su questi successivi passaggi nulla sappiamo, a parte la dichiarazione di Francesca Albanese stessa di non essere un avvocato, senza avere precisato se manchi il superamento dell’esame o l’iscrizione all’albo.

Dall’altro, come “advocate” indefesso della causa palestinese la performance di Francesca Albanese è molto più solida, come testimoniato da vari messaggi e dichiarazioni sui social network. Sotto questo profilo, è facilissimo verificare come i toni usati da Francesca Albanese per commentare gli orrendi massacri perpetrati da Hamas il 7 ottobre, pur essendo ovviamente di condanna, sono larghissimamente meno forti di quelli usati per commentare eventi successivi e precedenti avvenuti nella striscia di Gaza a danno dei palestinesi. Andando a guardare il profilo Facebook dell’Albanese, nei giorni scorsi ho trovato dichiarazioni piuttosto imbarazzanti come quella secondo cui i palestinesi si difendono con i soli mezzi che hanno, cioè “missili squinternati”, mentre il territorio di Gaza, bombardato massicciamente da Israele, “ha una popolazione di 1,8 milioni di abitanti, tra cui 15mila miliziani di Hamas che resistono” (mio corsivo). La dichiarazione si trova peraltro all’interno dello stesso post del 31 luglio 2014, già evidenziato da molti altri, in cui la dottoressa Albanese afferma che, differentemente da altri paesi che “hanno già condannato il massacro che si va compiendo a Gaza e interrotto tutte le relazioni commerciali e militari con Israele, l’America e l’Europa, soggiogati dalla lobby ebraica gli uni, e dal senso di colpa per l’Olocausto gli altri, restano al margine e continuano a condannare gli oppressi -i Palestinesi”.

Si può fare di peggio? Possibile. Come scoperto giovedì scorso, Francesca Albanese l’11 gennaio 2015, cioè quattro giorni dopo l’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, mette su Facebook una notizia proveniente da PressTV, canale televisivo iraniano, che riporta una dichiarazione di Paul Craig Roberts, secondo cui “CIA e Mossad hanno condotto l’attentato di Parigi”, cioè i servizi segreti americani e israeliani. Se non avessi fatto la foto dello schermo non ci crederei io stesso.

Vi sono anche dichiarazioni più recenti: ad esempio nel 2019, in risposta a un utente su Facebook Francesca Albanese commenta in questi termini le insufficienti reazioni europee all’oppressione dei palestinesi da parte degli israeliani: “Da Europea provo tanta vergogna e da individuo sento che bisogna continuare a combattere. Essere tanti piccoli Davide. Goliath non è cosi invincibile.” È verosimile che il Goliath da combattere e sconfiggere secondo Francesca Albanese sia ovviamente lo stato israeliano.

Epilogo virtuale: nella tarda giornata di giovedì vengo bloccato su Facebook da Francesca Albanese (mi sarei aspettato che l’avesse fatto prima), ma il punto rilevante è che -rispetto alle centinaia di post pubblici precedenti- rimangano pubblici solo tre post. Come mai questa timidezza generalizzata e tardiva? Epilogo politico: il segretario generale delle Nazioni Unite resta convinto che sia una buona idea tenere Francesca Albanese come relatore speciale sulla situazione dei territori palestinesi occupati? Il suo livello di partigianeria non è insopportabile anche per l’ONU?