Nuovo allarme Covid in carcere. Accade nel penitenziario di Bologna. Un detenuto di origini campane è risultato positivo al virus. Per lui è scattata la procedura di isolamento e cura. Secondo informazioni diffuse dal segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Aldo Di Giacomo, le condizioni di salute del detenuto non destano particolare preoccupazione. A preoccupare è la situazione dei contagi, è il pericolo di un possibile focolaio. «Siamo molto preoccupati per un eventuale propagarsi del virus in considerazione dell’imminente riapertura dei processi e delle relative traduzioni ma soprattutto dei colloqui con i familiari – commenta il rappresentante della polizia penitenziaria – Siamo dell’opinione che non bisogna abbassare la guardia perché l’eventuale contagio creerebbe problemi non solo di natura sanitaria ma soprattutto di ordine e sicurezza». La tensione, dunque, torna alta. Già in passato la notizia di casi di positività al virus avevano innescato un clima di agitazione e proteste. Ci sono stati addirittura detenuti che hanno fatto irruzione nelle farmacie e abusato di psicofarmaci per affrontare lo stress, l’ansia e la depressione sempre più diffuse tra chi è in cella. Addirittura c’è scappato il morto. Ora il nuovo allarme Covid rischia di scatenare nuove tensioni, nuove criticità.

«Auspichiamo che vengano forniti a tutti i poliziotti penitenziari i presidi indispensabili come mascherine e guanti che attualmente risultano inesistenti in gran parte degli istituti del Paese – aggiunge Di Giacomo – Dal canto nostro abbiamo già sentito il ministro della Giustizia e il capo del Dap per renderli partecipi delle nostre preoccupazioni». Ma i rischi non riguardano solo gli agenti della penitenziaria. Riguardano tutti coloro che vivono e lavorano in carcere. Urgono provvedimenti per svuotare le carceri, per evitare quei sovraffollamenti che potrebbero essere evitati. E in questo scenerio i colloqui tra i detenuti e i loro familiari sono un argomento delicato più che mai. Nei mesi di lockdown erano stati sospesi per riprendere gradualmente in tempi più recenti. In Campania, in particolare, i colloqui sono ripresi a fine maggio. A Secondigliano è consentito un colloquio ogni 15 giorni, con unico familiare e le videochiamate sono concesse nelle settimane in cui non si ha diritto al colloquio in presenza e a coloro i quali rinuncino a questa possibilità. A Poggioreale i colloqui in presenza sono ripresi dal 25 maggio a cadenza di 15 giorni: è ammessa una sola persona, a eccezione di un familiare di età inferiore a 12 anni, sono vietati contatti fisici e gli incontri avvengono attraverso vetri divisori.

I detenuti reclusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere possono avere due colloqui al mese con un solo familiare, così anche quelli reclusi nei penitenziari di Salerno e Avellino. I colloqui con i familiari sono l’unico ponte, per i detenuti, tra il mondo fuori e quello dentro. L’emergenza epidemiologica ha esasperato le criticità e le misure anti-contagio hanno amplificato la condizione di isolamento di chi è in cella. Ci sono stati già quattro suicidi in Campania e decine di tentativi sventati in extremis. Come quello dell’altro giorno nel carcere di Poggioreale: un detenuto ha tentato di impiccarsi creando un cappio con i lacci delle scarpe e usando le inferriate della finestra in un momento in cui la cella era vuota perché era da poco iniziata l’ora d’aria. L’intervento degli agenti della penitenziaria ha evitato il peggio, l’ennesima tragedia. Ma i problemi e le tensioni restano. E sarebbe il momento di occuparsene seriamente.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).