Giuseppe Mussari è un avvocato di 57 anni. È stato Presidente del Mps, il Monte dei Paschi di Siena. Forse è responsabile per alcuni degli errori commessi dalla sua banca. Ieri è stato condannato in primo grado a sette anni e mezzo di prigione. I reati? False comunicazioni sociali ed aggiotaggio. Le prove? Non si conoscono. Sette anni e mezzo sono una condanna abbastanza più pesante di quelle che solitamente vengono decise per reati come lo stupro. Talvolta anche l’omicidio.

Roberto Maroni, detto Bobo, avvocato, batterista e poi (per un periodo) politico leghista, 64 anni. Ieri è stato condannato in appello a un anno di prigione. Il Pm aveva chiesto due anni e mezzo. Due anni e mezzo, grazie anche alla legge spazza-corrotti voluta dai grillini, vuol dire carcere senza possibilità di indulgenza L’accusa è quella di avere raccomandato una sua ex collaboratrice e averla aiutata a trovare un posto di lavoro all’Expo.

Nicoletta Dosio, 73 anni, professoressa di latino e greco al liceo, ora in pensione, piemontese, oppositrice tenace della Tav. Martedì mattina dovrà presentarsi al carcere di Torino, per scontare un anno di prigione. È stata condannata senza condizionale per via di un blocco stradale al quale partecipò nel 2012 vicino a Susa.

Probabilmente queste tre persone non hanno nessun piacere ad essere accostate l’una all’altra in un articolo giornalistico. Immagino che a Mussari non piacciano i no-global. E alla professoressa Dosio non piacciano i banchieri e gli ex presidenti della Regione Lombardia, per di più leghisti (Maroni). A Maroni poi non piacciono di sicuro né i banchieri né i no-tav.
Però io li metto insieme questi tre casi, che finiscono sulla mia scrivania nello stesso giorno, forse per caso forse no. La questione che vedo è esattamente la stessa. È una duplice questione: l’ossessione della nostra magistratura per il carcere senza ragione (l’ossessione nel senso dell’amore perduto…), e la politicizzazione dei processi e delle sentenze.

E’ politica la sentenza che ha condannato Mussari. Politica nel senso che è una sentenza richiesta dall’opinione pubblica e da alcuni partiti. Perché la crisi del Mps, che ha danneggiato molti risparmiatori, vuole un rito esemplare di purificazione. E perché la crisi dell’Mps, banca senese vicina al Pd, è un’ottima occasione per attaccare il Pd e punirlo. La punizione migliore, la più chiara, la più richiesta è quella lì: la cella di un penitenziario. Date un’occhiata ai commenti scritti dai lettori del Fatto, ieri pomeriggio, alla notizia della sentenza contro Mussari. Un po’ di felicità ma anche una certa delusione: ”sette anni e mezzo sono pochi, ne vogliamo di più, di più, di più”. Qualcuno chiede l’ergastolo ostativo. La sentenza in realtà non è solo contro Mussari. Condannati anche il direttore generale della Banca, Antonio Vigni, a sette anni e tre mesi, e Gianluca Baldassarri a 4 anni e 8 mesi.

Il caso Maroni non è molto diverso. È persino difficile stabilire quale sia il reato che ha commesso. Ha raccomandato una ragazza? Secondo voi è tra i pochi ad averlo fatto? Io conosco decine e decine di persone che sono state raccomandate e così hanno iniziato a lavorare. È una buona cosa? No, direi di no, ma ci sono tante cose che non sono buone nella vita di tutti i giorni, alcune le faccio anche io: non si finisce in prigione per questa ragione. Del resto – chiedo – voi conoscete molte persone finite in prigione perché avevano raccomandato qualcuno? Voi immaginate che Prodi, Berlusconi, Fini, Veltroni, Ciampi, Scalfaro, Berlinguer, Almirante e Moro non abbiano mai raccomandato nessuno? Perché allora il Pm Vincenzo Calia voleva spedire in prigione Maroni? O per esaltazione giustizialista o per antipatia verso il leghista. Comunque è una sentenza politica.

Il caso di Nicoletta Dosio forse è il più clamoroso. Nel caso suo il processo è stato più semplice. Non c’era bisogno di trovare le prove. Lei non negava di aver partecipato a quel presidio anti-tav organizzato dal movimento al casello dell’autostrada. Diceva solo che era una azione di lotta e non un reato. Il presidio (come si dice nel gergo politico della sinistra di lotta) è durato un’ora e non ha ostacolato il traffico: è consistito nell’aprire i caselli e fare uscire le macchine gratis. Nessuna violenza. Un anno di prigione? Ma non è neanche questa la cosa più grave: un anno di prigione senza attenuanti e senza condizionale. Nessuno ci crede e invece è proprio così. La Corte ha rifiutato la sospensione della pena con questa ragione: alta pericolosità sociale. Capite? La pacifica professoressa Dosio, 73 anni, è pericolosa. Come Lutring, come Vallanzasca. E se non si trova per lei un reato buono per darle 7 anni e mezzo come a Mussari, allora le se nega la condizionale.

Nicoletta Dosio, in realtà, avrebbe potuto chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Chissà se glielo avrebbero concesso. Lei però è testa dura, e siccome si è arrabbiata per la sopraffazione subìta, ha deciso di non chiedere niente. Non vuole affidarsi all’indulgenza dello Stato. Ha detto: “Se son pericolosa vuol dire che fino a 74 anni me ne sto in prigione”.

Sì, io insisto: i tre casi sono simili. E tutti e tre ci pongono questi due problemi. Primo: come si fa ad impedire che i magistrati usino in modo esagerato, e talvolta dissennato, l’enorme potere che hanno e che esercitano senza controllo e senza possibilità di essere censurati?

Secondo: come si combatte la smania di vendetta e di carcere che travolge la gran parte dell’opinione pubblica, e dell’intellighenzia, e dei giornali, e dei partiti, e delle istituzioni? Sì: di carcere e di vendetta. La prigione, se non è indispensabile per ragioni di sicurezza, è solo questo: esercizio di vendetta. Non crediate che la richiesta di vendetta che vive nel carcere sia molto diversa da quell’odio che in questi giorni è stato denunciato da tanti, quando si è trattato di insediare la commissione Segre. Quelli che gridano carcere, carcere, carcere, quelli che mettono le manette in prima pagina, non ragionano, non hanno argomenti: odiano, odiano, e vogliono vendicarsi di qualcosa.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.