Non l'hanno vista arrivare
E alla fine (non) arriva Elly: lo dicono i dati della presenza in Aula dei leader d’opposizione
Mentre Giorgia Meloni era in Parlamento per anticipare all’aula le comunicazioni al Consiglio europeo, il segretario di quello che dovrebbe essere il principale partito all’opposizione, era a Bruxelles
Che fine ha fatto Elly Schlein? Certo è che anche l’altro ieri alla Camera non l’hanno vista.
Mentre Giorgia Meloni era in Parlamento per anticipare all’aula le comunicazioni al Consiglio europeo, il segretario di quello che dovrebbe essere il principale partito dell’opposizione, era assente. Una scelta singolare, se si pensa che la segretaria del Partito Democratico viene accredita come la principale leader dell’opposizione. Eppure, ha lasciato che al suo posto alla Camera intervenissero Peppe Provenzano e Laura Boldrini, mentre Francesco Boccia è intervento nel suo ruolo di capogruppo al Senato. E non si sa quanto le varie anime del partito democratico si siano sentite rappresentate in quel momento, mentre è certo il loro malcontento per l’assenza del segretario. Elly Schlein aveva programmato il suo viaggio a Bruxelles il giorno dopo le elezioni amministrative. Ma dopo la debacle fu costretta ad annullare il volo e indire una conferenza stampa al Nazareno. Una conferenza stampa molto criticata perché Elly aveva scelto di far rispondere alle domande Davide Baruffi, non proprio conosciutissimo.
Intanto in sua assenza il Pd di Bruxelles si spaccò tenendo tre posizioni diverse sulle armi all’Ucraina. E allora per recuperare Schlein all’Europarlamento ci è andata due giorni fa, dove in serata ha incontrato il circolo Pd di Bruxelles insieme a Michele Emiliano e Dino Giarrusso. Entrambi in odore di candidarsi alle europee con il simbolo del Partito Democratico. Sorte da cui Schlein vuole invece escludere Vincenzo De Luca.
Il problema è che quello stesso giorno, appunto, il presidente del consiglio riferiva in parlamento. In questo modo è sembrato che Schlein scappasse da Meloni, con il risultato che mediaticamente è apparso che la leadership dell’opposizione fosse in mano a Giuseppe Conte. Che è intervenuto contro il governo alla Camera, mentre Matteo Renzi l’ha fatto al Senato. E come si può fare una seria critica, se la leader del principale partito di opposizione è assente dall’aula?
Le assenze di Schlein fra l’altro sono ben note. I dati della Camera dei Deputati aggiornati al 30 maggio rivelano una presenza per Giuseppe Conte del 48,5%; Fratoianni 71,8%; Enrico Letta 59,6%. Invece al Senato aggiornati al 28 giugno: Calenda al 60,4%, e Renzi al 70%. Mentre Elly Schlein ha una presenza di solo il 29,4%. E sarebbe persino giustificato per il segretario del più grande partito di opposizione, se anziché in aula fosse occupata a rilanciare il partito che guida con proposte serie sul lavoro, il fisco, il Mezzogiorno. Eppure, oltre alla limonata amara di Campobasso, Elly si è sentita solo in occasione del Gay Pride. Giusto e sacrosanto esserci, ma non basta. Un partito non può basarsi solo sulla sacrosanta difesa dei diritti (dimenticando troppo spesso i doveri). E infatti, le su iniziative, se pur lodevoli, hanno portato a scarsi risultati elettorali. L’altro ieri sarebbe stato importante esserci: proprio nell’ottica di accreditarsi come l’antagonista di Giorgia Meloni. E il fatto che neppure la premier la vede arrivare, è dimostrato dalla scelta della leader di FdI di eleggere come bersaglio per la replica Laura Boldrini, mentre a Bruxelles Schlein si accontentava di duellare con Tajani.
Eppure, di critiche alla Premier ne potrebbero essere fatte molte, a partire dalla contraddizione fra ciò che ha affermato in campagna elettorale e ciò che ha realizzato. Fra immigrazione, tasse e lavoro un partito riformista avrebbe di che rimproverare al governo. Eppure, niente si muove.
Mentre in aula a difendere Soumahoro dai cori tipici di una tifoseria razzista ci pensa Davide Faraone, costringendo Bonelli, che lo ha portato in Parlamento, ad andare al traino. È chiaro quindi che Giorgia Meloni vinca facile con Peppe Provenzano, che nel suo intervento in aula accusa il governo di aver prorogato il memorandum Italia-Libia rispondendo: “collega Provenzano, le ricordo che quell’accordo l’ha fatto il Pd con il presidente Gentiloni e il ministro Minniti. Quindi le cose si possono fare se le fa il Pd e non si possono fare se le fanno gli altri? Ah sono cambiate le cose? Si è cambiato che al governo non c’è più il Pd”. Silenzio dai banchi del Pd, e neanche un segretario che potesse alzarsi e dire “sì ma io all’epoca non c’ero, e oggi ci sono”. Perché è assente ancora oggi.
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