Il liberale ha una sola collocazione possibile: quella della difesa della libertà. È là, che lo troverete sempre.
Ed è leggendo il nuovo libro di Daniele Capezzone, “E basta con ‘sto fascismo”, edito da Piemme, che questo concetto appare molto chiaro. Certo, l’autore non fa mistero di trovare che la destra sia il luogo da cui far partire più agevolmente la battaglia in difesa delle libertà.
E però, non risparmia comunque le critiche ai conservatori. Quello del direttore di Libero è, come lo definisce lui stesso, “un piccolo manifesto liberale e libertario” che pone interrogativi profondi ma allo stesso tempo utilizza un linguaggio immediato, popolare. Con il risultato di essere assente forse nelle librerie dei salotti che contano ma di riempire a giudicare dalle vendite le librerie delle persone comuni.
Il grido al pericolo fascista che sale ogni due per tre dalle fila di una parte della sinistra fa dire a Capezzone, già in copertina: “ci avete rotto le p…”. Proprio così. “Ci avete rotto le p…”.

Immaginiamoci una scena. La coppia di sinistra radicale, tutta Hamas e centri sociali, entra in libreria.
Per caso, guarda la copertina del libro.
Legge il nome dell’autore, il titolo e quel commento così “triviale”. Il marito scuote la testa e dice alla moglie: che ignoranza, questa destra! Che tempi bui! E la moglie risponde: perché, gli elettori di destra leggono? E sanno pure scrivere?
Lo sfoglia, pronta a deriderne il contenuto e si trova davanti un saggio ricco di citazioni che danno prova della profonda cultura dell’autore, della consapevolezza con cui maneggia il pensiero di filosofi e politologi. Cortocircuito della coppia. Ritirata!
E il cortocircuito è proprio quello che Capezzone provoca platealmente quando mette a confronto le reazioni nel momento in cui a lui fu impedito di parlare all’università La Sapienza dai collettivi e quando invece la violenza arriva da destra.
Un capitolo gustoso e ben documentato, che mette in fila fatti e circostanze.

L’autore individua in questa ossessione per il pericolo fascista l’assenza di contenuti e l’incapacità di intercettare il consenso. E così, innalza lo spauracchio della paura. A cui si unisce la consueta doppia morale. E la censura del linguaggio.
Un’opera di riscrittura della storia e di autoassoluzione verso ciò che fu il rapporto con l’Unione sovietica degna della migliore cancel culture.
Profondamente vero il legame che denuncia e dimostra fra marxismo e dottrina woke, così come l’allarme che lancia sui pericoli che corre la libertà di espressione. Pericoli di censura ma anche di autocensura per timore di incappare in una shitstorm o peggio, nella perdita di ruoli e posto di lavoro.
Ci sono però, come dicevamo, anche critiche alla destra, la destra del vittimismo, dell’inadeguatezza, la destra che vuol piacere alla sinistra. La destra degli pseudointellettuali che “si offrono come caricatura già pronta per la vecchia cappa progressista che vuole farne un bersaglio, per meglio occultare i propri fallimenti e per ridicolizzare la cultura non di sinistra”.

La destra che non si pone il problema del consenso fra i giovani e nelle grandi città.
Il grande appello che fa alla libertà di scelta scolastica, aumentando la concorrenza con il buono scuola, è chiaramente funzionale a sfidare l’egemonia culturale, in contrapposizione ai convegni fra amici.
Un libro che farà arrabbiare la sinistra ma anche, se la conosciamo un po’, una certa destra chiusa nella sua “cappa”. E forse, anche qualche ministro.
Un libro consigliato a chi, di destra o di sinistra, vuole confrontarsi con un pensiero sfacciato e non banale. Per applaudirlo o criticarlo. Senza preconcetti, nemici della libertà.