La minaccia, la paura, il terrore nucleare. Qualcosa di novecentesco, da Guerra Fredda – con tutte le differenze del caso, non è un paragone -, risvegliato dalla guerra in Ucraina. Il conflitto è arrivato al 28esimo giorno. E da quasi subito si è parlato anche delle 4.500 testate detenute da Mosca. Prima per l’attacco alla centrale di Zaporizhzhia, poi per l’occupazione di quella di Chernobyl, quindi per l’allerta del Presidente russo Vladimir Putin.

Delle armi è tornato a parlare il portavoce del Cremlino. Citato dalla Tass, Dmitry Peskov ha riferito che “l’operazione militare speciale in Ucraina sta procedendo chiaramente secondo piani e compiti prestabiliti” – osservatori e media internazionali, soprattutto occidentali, dicono il contrario: sarebbe fallita la guerra-lampo che aveva in mente Putin, per il Pentagono i russi hanno problemi logistici e di approvvigionamento, il Komsomolskaya Pravda ha riportato il dato di 9.861 militari uccisi nel conflitto (un dato enorme) prima che l’articolo venisse rimosso e bollato come fake news.

E quindi il portavoce ha specificato alla CNN che “abbiamo un concetto molto chiaro di sicurezza nazionale” che prevede l’uso di armi nucleari “solo in caso di minaccia alla sua stessa esistenza. Non ci sono altre ragioni”. Peskov ha provato ad accusare Volodymyr Zelensky, il Presidente dell’Ucraina, di aver iniziato a parlare delle possibilità di dotarsi di armi nucleari, sul territorio dell’Ucraina, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di quest’anno.

L’allerta resta alta. Secondo indiscrezioni i generali degli Stati Uniti pensano che i russi potrebbero far ricorso alle testate, non quelle da distruzione planetaria ma quelle con un raggio d’azione ridotto. Mosca “probabilmente farà progressivamente affidamento sul suo deterrente nucleare per proiettare forza sul suo pubblico domestico e all’estero”, aveva spiegato in un’audizione parlamentare il tenente generale Scott Berrier, capo della Dia, l’agenzia d’intelligence del Pentagono. Le armi a corto raggio, secondo le stime, potrebbero “distruggere un’area che va dal Lincoln Memorial al Monumento a Washington”.

Putin, nelle prime fasi del conflitto, aveva ordinato la messa in stato di allerta del sistema di deterrenza nucleare minacciando “conseguenze come non se ne sono mai viste nella storia”. Quello della Russia è il secondo arsenale nucleare al mondo – il primo sono gli USA, con 5.500 bombe -, anche se i dati sono una stima della Federation of American Scientists difficile da verificare con precisione. Mosca possiede 1.500 testate già smantellate o in via di smantellamento.

Quelle subito disponibili sono circa 1.550, già montate su vettori. Quasi 3.000 quelle immagazzinate e non adoperabili immediatamente. Le basi in grado di lanciare armi atomiche si trovano a Rostov, San Pietroburgo e Kaliningrad – quest’ultima nel cuore dell’Europa: enclave russa tra Polonia e Lituania. La catena di comando russa è modellata su quella sovietica e si basa su un meccanismo di tre chiavi (codici di lancio) nelle mani del Presidente, del ministro della Difesa e del capo di Stato maggiore interforze. La procedura è bloccata se solo uno dei codici viene annullato.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.