La nuova asse
Erdogan, il fu nemico di Assad è ora il partner strategico più prezioso di Damasco

La Turchia, sostenitrice dei gruppi armati di opposizione siriana, arabi-sunniti-turcomanni, che nel 2011, sin dall’inizio della guerra civile siriana avevano cercato di rovesciare l’ex presidente Bashar al-Assad, è ora emersa come il più prezioso partner regionale per la nuova amministrazione di Damasco, contribuendo a fornire all’occidente rassicurazioni e garanzie che il nuovo leader siriano, al-Shaara, già filo qaedista, intraprenderà una strada accettabile, in linea con gli standard del diritto internazionale.
Al-Shaibani ha commentato così la sua visita ad Ankara: “È la nostra prima visita ufficiale nella Repubblica di Turchia per rappresentare la nuova Siria, in un paese che da quattordici anni non ha mai abbandonato il popolo siriano.
Il vertice si è concentrato sulla cooperazione turco-siriana e in particolar modo sulla ricostruzione del paese devastato da tredici anni di guerra civile e per procura; sullo scioglimento delle Forze democratiche siriane (SDF), la cui spina dorsale sono le Unità curde di protezione del popolo (YPG) alleate degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis e che controllano gran parte del nordest del paese ricco di risorse sia energetiche che idriche, ma che Ankara considera una delle principali minacce alla sua sicurezza nazionale per gli stretti legami che intrattiene con il partito armato curdo di Turchia PKK. “Ripulire il territorio siriano dal terrorismo (il riferimento è alle Ypg) sarà una delle principali priorità del 2025”, hanno ripetuto con in un mantra sia Erdoğan che Fidan.
Finora la Turchia si è solo limitata a minacciare una nuova operazione militare contro la regione controllata dalle Sdf nella Siria settentrionale, perché preferisce evitare uno scontro militare dal momento che una nuova offensiva potrebbe destabilizzare il difficile percorso della nascente amministrazione siriana. E dunque preferisce dar seguito a negoziazioni politiche e chiede alle Ypg di deporre immediatamente le armi e chiede inoltre che i suoi membri, siriani e non, affiliati al Pkk lascino subito la Siria.
I colloqui si sono concentrati sui progetti di fornitura di energia, di elettricità e sulla cooperazione militare. Il ministro dell’energia turco Alparslan Bayraktar ha annunciato che Ankara prevede di aumentare, nell’arco dei prossimi sei mesi, le sue esportazioni di energia in Siria a 500 megawatt, rispetto agli attuali 220. Nel frattempo, il ministero dei trasporti turco ha rivelato i piani per contrinbuire alla ricostruzione delle infrastrutture stradali e ferroviarie della Siria. Secondo le stime delle Nazioni Unite, sono necessari almeno 250 miliardi di dollari per la ricostruzione dei servizi e delle infrastrutture di base del paese. Ottenere fondi internazionali, in particolare dalle monarchie del Golfo ricche di petrolio, è fondamentale per il piano della Turchia di accreditarsi come protagonista della ricostruzione. l’amministrazione siriana.
Ma nel vertice non si è parlato solo di questo. Una delle questioni che stanno a cuore a Erdogan è il gioco di potere nel Mediterraneo orientale. Ankara vorrebbe lì sostituire Mosca insediando una base navale sulla costa siriana: la strategia turca è simile a quella già adottata in Libia. Il Mediterraneo è sempre stato teatro di rivalità, di mutevoli alleanze e scommesse calcolate, e la Turchia, con la caduta di Assad e con la ritirata di Mosca e con la sconfitta dell’Iran, ha ancora una volta lanciato i suoi dadi. L’annuncio di Ankara di un potenziale accordo di creazione di Zona economica esclusiva (ZEE) con il nuovo governo siriano ricalca il patto marittimo del 2019 della Turchia con il Governo di accordo nazionale (GNA) libico.
Quell’accordo permise al governo turco di rivendicare un punto d’appoggio nel Mediterraneo orientale, rimodellando le dinamiche regionali a suo vantaggio. Oggi, Ankara sta perseguendo una strategia simile, cercando di creare una situazione di fatto nelle acque calde del Levante come ha fatto sulla terraferma, usando la promessa di un suo forte sostegno economico e politico per accreditarsi come l’attore dominante nel paese e per assecondare il sogno che alberga nei cuori dei nazionalisti turchi: quello di protettorato turco in Siria, da Aleppo a Mosul, in nord Iraq. Libia e Siria per la dottrina estera turca sono pilastri interconnessi della sua strategia geopolitica nel Mediterraneo.
© Riproduzione riservata