Equilibri precari
Euro debole e surplus commerciale, con gli Usa rischio guerra monetaria: la dipendenza dalle esportazioni rischia di costare cara all’Ue
L’America può forzare la situazione imponendo dazi punitivi e ritirando la protezione militare

I dati più recenti sul commercio e sulla bilancia dei pagamenti non sono incoraggianti per l’Europa, soprattutto in vista dei prossimi negoziati con gli Stati Uniti sui dazi commerciali. L’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti ha registrato nel 2023 un deficit commerciale bilaterale con l’UE pari a 236 miliardi di dollari, un livello record. Anche il saldo delle partite correnti dell’Eurozona riflette questa tendenza. Attualmente si attesta al 2,7% del Pil, un livello vicino a quello prebellico. Questo surplus deriva principalmente dal commercio di beni e servizi. Tuttavia, il fattore chiave dietro questi numeri non è tanto la competitività intrinseca dei prodotti europei, quanto piuttosto il basso valore dell’euro rispetto al dollaro.
Di recente, un documento di Stephen Miran, presidente del Consiglio degli Economisti del presidente degli Stati Uniti, ha proposto un nuovo “Mar-a-Lago Accord”, ispirato al Plaza Accord del 1985, quando i ministri delle Finanze del G7 intervennero per svalutare il dollaro. Un’azione coordinata per rafforzare l’euro sarebbe molto più efficace dei dazi, che colpiscono solo alcuni settori specifici. Per fare un confronto, nel 2008 il cambio euro-dollaro era vicino a 1,58, mentre oggi è a 1,08. All’epoca, l’Ue registrava un deficit delle partite correnti dell’1,4%, mentre dal 2000 al 2007 la bilancia era sostanzialmente in equilibrio. L’attuale surplus europeo è dunque in gran parte una questione valutaria: una rivalutazione dell’euro del 30% risolverebbe gran parte del problema.
L’Europa potrebbe ridurre il suo surplus aumentando le importazioni di armamenti dagli Usa? Non proprio. Nel 2023, gli acquisti europei di armamenti americani sono stati pari a 28,6 miliardi di dollari, un valore in linea con la media storica. Anche raddoppiando queste importazioni, si colmerebbe solo il 12% del deficit commerciale. Non si tratta quindi di un problema risolvibile con accordi di facciata: l’unica soluzione strutturale sarebbe una riallocazione valutaria. Il Plaza Accord del 1985 fu il risultato di un’intesa tra alleati, che riconobbero la necessità di correggere gli squilibri monetari causati dalle politiche della Fed nei primi anni ‘80. Un eventuale “Mar-a-Lago Accord” sarebbe invece ben più conflittuale. Paesi come Cina e Germania, storicamente dipendenti dai surplus commerciali, non rinunceranno volontariamente a questo modello economico. Un cambiamento potrà avvenire solo attraverso uno shock esterno. Gli Stati Uniti hanno due leve per forzare la situazione: la minaccia di ritirare la protezione militare e l’imposizione di dazi punitivi.
Al momento, i leader europei sembrano ignorare questa possibilità. La determinazione a rispondere con ritorsioni sui dazi è già venuta meno. Se gli Stati Uniti riuscissero a ottenere una rivalutazione del 30% dell’euro – o un equivalente in dazi – il modello economico, basato sulle esportazioni, di diversi Stati membri ne uscirebbe distrutto. La grandezza dell’attuale surplus delle partite correnti è un’indicazione diretta dell’entità dello shock economico che potrebbe colpire l’Ue: il 2,7% del Pil, che sale al 5,7% nel caso della Germania, il cui recente piano di stimolo fiscale non sarebbe sufficiente a compensare un colpo di tale portata.
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