«In merito alla tragica morte di Renato Russo, detenuto cardiopatico dell’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, riteniamo indispensabile che tutte le istituzioni competenti operino con la doverosa sinergia al fine di fare chiarezza sulla morte di un uomo avvenuta tra le mura di in istituto di pena dello Stato». L’appello a fare luce sulla morte del detenuto 54enne arriva dalla onlus Carcere Possibile, l’associazione che si occupa della tutela dei diritti delle persone in cella.
Renato Russo aveva 54 anni, era finito dietro le sbarre del carcere di Santa Maria Capua Vetere per due rapine messe a segno nel 2019 e gli restavano da scontare ancora due anni di reclusione. Soffriva di problemi cardiaci: a maggio e a luglio aveva avuto due infarti, motivo per il quale era stato ricoverato presso le strutture ospedaliere e poi ricondotto in carcere. Più volte i suoi problemi di salute erano finiti nero su bianco sulla scrivania del magistrato competente che per due volte aveva deciso di non concedergli la possibilità di scontare la pena a casa. Per il pm, nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche e la minaccia del Covid che dilagava nelle carceri campane, Russo doveva continuare a vivere dietro le sbarre. Il 30 dicembre l’ultima videotelefonata ai familiari; poi, nella notte di San Silvestro, l’ultimo attacco cardiaco che non gli ha lasciato scampo nonostante i soccorsi prestati dal personale penitenziario e dal 118. Russo è morto nell’infermeria del carcere sammaritano.
Secondo l’associazione Carcere Possibile sono ancora troppe le ombre sul decesso del 54enne la cui salma, nel frattempo, è stata sottoposta all’autopsia che dovrebbe contruibuire a chiarire le dinamiche della vicenda. La onlus ora chiede espressamente a tutte le istituzioni competenti di fare chiarezza e di accertare le cause dell’ennesimo dramma consumatosi all’interno di un carcere. «Dinanzi al doloroso rinnovarsi di eventi che purtroppo involgono la perdita della vita – si legge ancora nella nota diffusa dal Carcere Possibile – appare inadeguata la replica, agitata con diffuse parole in mera difesa della categoria, alle pur vibrate ma doverose richieste di accertamento dei fatti da parte di chi ha il dovere di vigilare sui diritti dei più deboli».
Il riferimento è alla polemica divampata tra l’Associazione nazionale magistrati (Anm) e garanti dei detenuti che hanno diffuso la notizia della morte di Russo sui loro canali social. «Chi ha sbagliato deve pagare il suo debito ma non a prezzo della vita – aveva scritto il garante regionale Samuele Ciambriello – Quando la politica, ora pavida e cinica, riprenderà in mano i suoi poteri e i sui doveri?». Immediata la replica dell’Anm: «La dichiarazione getta una inaccettabile ombra di iniquità sull’operato dei magistrati perché essa non è suffragata da alcuna analisi o elemento a sostegno di quanto prospettato e non tiene conto del costante senso di responsabilità che essi adoperano nel tutelare la salute dei detenuti». I magistrati avevano criticato anche l’eco social delle dichiarazioni di Ciambriello per via dei commenti postati da alcuni internauti. «Commenti – sono parole della giunta dell’Anm – altamente diffamatori da parte di altri utenti nei confronti dei magistrati». Ora, però, è il momento di mettere da parte qualsiasi tipo di lite e ricordare che non si può morire di carcere in carcere: «Bisogna collaborare affinché la verità sulla morte di Renato Russo – conclude il Carcere Possibile – costituisca, oggi, l’unico comune obiettivo da perseguire, anche al fine di scongiurare il ripetersi di altri simili eventi».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.