Com’è che dice quella frase del saggista inglese Samuel Johnson (1709-1784)? Ah, sì, che l’inferno è lastricato di buone intenzioni. E di buone intenzioni è lastricata anche la strada degli ultimi anni di governo in Italia. Speriamo che Johnson si sbagli, e speriamo di non essere condotti all’inferno. Se fossero bastate le buone intenzioni, il reddito di cittadinanza avrebbe creato milioni di posti di lavoro e abolito la povertà, come promesso dai grillini. Sarebbe stato un investimento per il futuro e per i nostri giovani, anziché una spesa, ma così non è andata. Le percentuali di chi ha effettivamente trovato lavoro sono così ridicole che gli stessi 5 Stelle si guardano bene dal rivendicare la loro riforma bandiera.

E nemmeno l’Inps riesce a dargli manforte, in questo caso. Sempre secondo le buone intenzioni, l’accordo con la Cina per la Via della Seta, che ci ha visto unico paese del G7 a precipitarsi a firmarlo, avrebbe dovuto portare grandi benefici all’export italiano, ma in realtà è avvenuto l’esatto contrario: i benefici li hanno visti per ora solo i cinesi, noi in compenso abbiamo visto il nervosismo di quei tradizionali partner commerciali come gli Usa che ogni anno fruttano miliardi di euro alle nostre casse, e che non hanno proprio gradito. Anche il decreto Dignità, fiore all’occhiello dell’allora super ministro Di Maio, doveva segnare una svolta epocale per i lavoratori italiani. L’ha segnata: a causa del blocco dei rinnovi dei contratti a tempo determinato molti hanno perso il lavoro che avevano, alla faccia della dignità. E infatti anche questo provvedimento simbolo delle migliori intenzioni a 5 Stelle è finito nello sgabuzzino. Meglio non parlarne più. Nel mentre, tra un governo Conte e l’altro, le crisi industriali, quelle tipo Ilva, su cui le migliori intenzioni grilline avevano sempre una soluzione facile e imminente, sono rimaste irrisolte e coloro che sbraitavano “Mai con il Pd, mai con il partito di Bibbiano” (Di Maio), non solo hanno fatto il governo con il Pd, ma ora ci fanno anche un’alleanza strategica. Naturalmente con le migliori intenzioni, elettorali questa volta. Come dimenticare, poi, tutti i no storici del Movimento 5 Stelle che col tempo si sono trasformati in “forse” e poi in “sì, ma”? Pensiamo alle grandi infrastrutture: dalla Tav al Tap, dal Mose allo Stretto di Messina, improvvisamente si deve fare (e di corsa) tutto ciò che prima era da combattere, sbagliato, dannoso. Per non parlare della maniera ridicola in cui è stata gestita la vicenda Autostrade a seguito del crollo del ponte Morandi.

Per 2 anni abbiamo sentito i governi dei 5 Stelle promettere la revoca della concessione ad Autostrade. Per 2 anni le famiglie e gli investitori sono rimasti in balia di una promessa che non si è mai realizzata: la concessione, infatti, non è stata revocata e ai titolari di essa verranno anche versati dei quattrini dallo Stato (cioè nostri) attraverso Cassa Depositi e Prestiti. C’è poi la migliore intenzione di tutti, il no al terzo mandato elettorale consecutivo per tutti i 5 Stelle, per garantire un costante ricambio della classe dirigente. Anche questo un elemento distintivo, venduto tempo fa agli elettori come una specie di marchio Doc del grillismo militante. Spazzato via in un attimo, era poco pratico. Alle buone intenzioni grilline non è rimasto più di che lastricare. Hanno rinnegato tutto, ma proprio tutto. E non deve essergli stato troppo difficile, perché da sempre il loro modello è basato sul vuoto plasmabile: si studia la rete, si sondano gli animi e si promettono roboanti utopie acchiappa-like, non importa se irrealizzabili. Adesso gli è rimasto solo il giustizialismo, che si tengono stretto, forse non avendo scelta. Del resto per armarsi di giustizialismo non occorre essere eroi, basta provare piacere nel giudicare l’altro, cosa abbastanza comune. E gli è rimasta la riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari, ultimo vessillo di una forza politica che fu. Vanno tagliati, sono troppi. E in effetti dal loro punto di vista è coerente. Essendo sprovvisti di una precisa idea di mondo da tradurre in realtà, mancando di convincimenti radicati su cui confrontarsi, a che diavolo potranno mai loro servire tutti quei benedetti parlamentari? I parlamentari, infatti, nella loro funzione di rappresentanti eletti dai cittadini sono chiamati ad esercitare la funzione legislativa, ovvero a trasformare in leggi gli impegni politici assunti davanti ai cittadini.

Ma a che servono se tanto gli impegni assunti sono carta straccia? Meglio dare potere assoluto al governo e non stare a perdere tempo col Parlamento, che là tocca confrontarsi sul terreno delle idee e dei convincimenti (che è poi quello che più o meno è accaduto durante il lockdown), tocca ascoltare gente che rappresenta dei territori, roba astrusa e vetusta ai tempi di internet. Meglio indebolirlo il Parlamento, svuotarlo di senso, farlo impallidire, e concentrare nell’esecutivo il processo decisionale. Ma coloro che non si ritrovano in questa idea della politica 4.0 capiscono bene ciò che sta accadendo: qualora vincesse il sì al referendum sul taglio dei parlamentari non solo ci troveremmo in un sistema in cui il governo (non eletto dal popolo) avrebbe più potere sul Parlamento (eletto dal popolo), ma finiremmo per vivere in un contesto politico in cui tutti gli incubi paventati dai 5 Stelle si andrebbero a realizzare. Se oggi bastano pochi deputati o senatori per far cadere un governo, domani ne basterà uno solo. Il ribaltone è servito. Se oggi il peso dei senatori a vita è di per sé insufficiente a votare la fiducia o la sfiducia ad un governo o a far passare una legge, domani il loro contributo potrebbe essere determinante. Ma al di là di tutto questo sarebbe bene mettersi d’accordo su un concetto: la democrazia è un costo o un valore? Se non si hanno idee, oppure se si è pronti a vendersele per una manciata di like o per tenere in mano un po’ di potere, allora la democrazia è un costo ed è giusto tagliare spese, diritti, e tutti quegli strumenti che consentono di realizzare gli obiettivi democratici (dalla sanità all’istruzione alla sicurezza). Se invece la democrazia è un valore, allora occorre ricordare che essa è basata sulla rappresentanza di porzioni di cittadinanza che hanno visioni e interessi diversi, i quali trovano una sintesi proprio nell’attività parlamentare. E quella rappresentanza deve essere difesa e brandita come il bene supremo della nazione. Non è una buona intenzione, è una necessità.