Niente cravatte per risparmiare sull’aria condizionata, docce più brevi per risparmiare energia. Sono alcune delle misure di comportamento che i leader europei cominciano a suggerire ai cittadini dei loro paesi per fronteggiare la crisi invernale. Il messaggio è che tutti dovranno fare la propria parte mentre i governi saranno chiamati a definire piani nazionali per risparmiare energia. Ad oggi le riserve di gas dell’Unione europea sono coperte al 71% – circa il 9% al di sotto dell’obiettivo che l’Unione si era prefissata all’inizio dell’estate entro il 1° novembre – e i paesi si sono impegnati a ridurre la loro domanda di gas del 15% entro marzo nel quadro delle comuni misure di razionamento. Ovviamente, ci sono differenze tra i vari paesi europei. In Germania e in Italia, per esempio, l’eventuale interruzione del gas russo colpirebbe duramente l’industria e influenzerebbe la capacità delle persone di riscaldare le proprie case. In Svezia e Finlandia, dove il gas costituisce una parte minore del mix energetico complessivo, l’impatto sarebbe meno drastico. Oltre alle misure immediate volte a sopravvivere all’inverno, i governi dovranno anche adottare misure a più lungo termine, ad esempio rinnovando gli edifici per essere più efficienti dal punto di vista energetico e passando a tecnologie di riscaldamento centralizzato più ecologiche.
Come si sta muovendo l’Italia? Ad oggi, il nostro paese è ancora uno dei più dipendenti dal gas russo in Europa, con circa il 40% importato da Mosca l’anno scorso. Il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha escluso finora misure “draconiane” per ridurre la domanda di energia, ma a luglio il governo ha annunciato la redazione di un piano di risparmio di emergenza che potrebbe includere la limitazione del riscaldamento a 19 gradi in inverno e il raffreddamento a 27 gradi in estate, la riduzione dell’illuminazione stradale di notte e la chiusura anticipata dei negozi. L’approccio resta ottimistico: l’Italia cerca di ridurre del 7% la domanda di gas entro marzo, in parte con l’aumento della produzione a carbone. Cingolani ritiene che la riduzione del riscaldamento di un grado negli edifici potrebbe far risparmiare fino a 2 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Anche se la Russia interrompesse completamente le forniture di gas, l’Italia, secondo il ministro, sarebbe a posto almeno fino a febbraio, grazie alla serie di nuovi accordi di fornitura che Roma si è assicurata negli ultimi mesi.
L’Italia importa gas attraverso 5 principali fonti di approvvigionamento. L’Algeria, che negli ultimi mesi ha sostituito la Russia come principale fornitore di gas, ha già aumentato in misura significativa le sue forniture, da 16 miliardi di metri cubi (nel quinquennio 2015-2019) a 23. Un’altra fonte strategica è il Tap, il gasdotto che dalla fine del 2020 trasporta in Italia il gas naturale proveniente dall’Azerbaijan. Avendo già raggiunto la sua capacità massima, si studia la possibilità di raddoppiarne i flussi, ma serviranno almeno 4 anni. La Libia, poi, sarebbe un fornitore dalle grandi potenzialità, sia per la quantità di giacimenti di gas che per la vicinanza geografica: potrebbe diventare la vera alternativa alla Russia. Tuttavia, l’instabilità politica del Paese rallenta l’efficienza dei gasdotti che oggi trasportano solo un quarto del massimo consentito: 2,6 miliardi di metri cubi contro gli 11 potenziali. Altri gasdotti, infine, trasportano il gas dal resto dell’Europa (in particolare, Paesi Bassi e Norvegia), ma queste forniture saranno destinate a ridursi a causa degli aumenti del fabbisogno degli altri paesi Ue. Per sopperire a una interruzione totale delle forniture di gas russo, la soluzione più rapida è quella di puntare sul gas naturale liquefatto in arrivo via mare. Il Gnl in Italia costituisce ad oggi il 20% delle importazioni totali e viene rigassificato e immesso in rete attraverso tre impianti (Rovigo, La Spezia, Livorno). Ma i tre rigassificatori italiani oggi stanno già lavorando al massimo (15 miliardi di metri cubi) e per aumentare la capacità di rigassificazione nazionale la Snam – il principale operatore europeo nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale, con un’infrastruttura in grado di abilitare la transizione energetica – ha annunciato l’acquisto di due navi rigassificatrici dette Fsru (Floating storage and regasification unit, vale a dire unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione). Nel giugno scorso, il gruppo guidato da Stefano Venier ha rilevato per 350 milioni di dollari (330 milioni euro circa) il 100% di Golar Lng Nb 134 Corporation, titolare della nave di stoccaggio e rigassificazione Golar Tundra. L’imbarcazione, costruita nel 2015, può operare sia come nave metaniera per il trasporto del gas naturale liquefatto sia come Fsru. Ha una capacità di stoccaggio di circa 170 mila metri cubi di Gnl e una capacità di rigassificazione continua di 5 miliardi di metri cubi l’anno. Tuttavia, la Fsru inizierà la propria attività non prima della primavera del 2023. All’inizio di luglio, Snam ha poi siglato con Bw Lng un contratto per l’acquisizione del 100% di Fsru I Limited, che possiederà come unico asset la nave di stoccaggio e rigassificazione BW Singapore: capacità massima di stoccaggio di circa 170 mila metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) e una capacità di rigassificazione continua di circa 5 miliardi di metri cubi l’anno. La nuova Fsru sarà molto probabilmente posizionata di fronte a Ravenna, e inizierà la propria attività nel terzo trimestre del 2024. Come spiega Stefano Venier, ceo di Snam, è fondamentale che la rigassificatrice di Piombino sia operativa in primavera “perché ci consentirebbe di ricevere durante l’estate due miliardi di di metri cubi di Gnl da destinare allo stoccaggio. La nave Golar Tundra è strategica per mettere in sicurezza l’inverno 2023-24, perché non sappiamo se avremo il gasa russo”. L’ipotesi di lavoro è quella di lasciare la nave in porto solo tre anni per spostarla poi offshore.
L’allerta resta alta. “Se la situazione dovesse continuare così rimarrebbe scoperto l’11% dei consumi annui nazionali. E Mosca ha ancora spazio per tagliare ancora. Certo, considerati i tagli già operati, il Cremlino avrà un margine di manovra minore”, spiegano Matteo Villa e Chiara Gesmundo dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Se Mosca dovesse decidere di chiudere completamente i rubinetti, “l’Italia si troverebbe infatti di fronte a un deficit di forniture equivalente al 22% dei suoi consumi annui. Un ammanco di circa 16 miliardi di metri cubi, che costringerebbe a ridurre non solo i consumi industriali ma anche la produzione di energia elettrica e i consumi finali per riscaldamento”, concludono i ricercatori dell’Ispi.
Tuttavia, ci sono anche buone ragioni per avere fiducia. “Abbiamo 7,5 miliardi di metri cubi nei depositi, in linea con l’obiettivo di circa 11 miliardi entro fine ottobre”, ricorda Venier di Snam. In sostanza, l’Italia, che si è mossa tempestivamente rispetto ad altri paesi europei, sembra oggi tra i meglio posizionati sul fronte della sicurezza energetica. Con cinque gasdotti e tre rigassificatori, spiega Venier, “già oggi abbiamo otto porte di accesso del gas e con le due navi arriveremo a dieci, con un sistema bilanciato tra tubi e Gnl: abbiamo il gas algerino a Sud, quello azero e mediorientale e Est, quello norvegese a Nord, il Gnl americano a Ovest: nessun paese in Europa può contare su una tale diversificazione”. Così operando, l’Italia potrebbe perfino candidarsi a diventare un hub energetico per tutta l’Europa. “Se sarà aumentata la portata del Tap, le interconnessioni a Nord, tramite Austria e Svizzera, potrebbero diventare infrastrutture di transizione non più soltanto verso l’Italia, bensì verso il centro Europa”, spiega il ceo di Snam. Per completare questa prospettiva sarà necessario anche potenziare l’asse appenninico: “una volta fatto, l’Italia sarà al centro del sistema energetico europeo”, dice Venier, e diventeremo un corridoio cruciale per il trasporto dell’idrogeno. Ma questo è un’altro capitolo.

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