Sport & Politica
Gattuso dà una lezione a Manfredi: mai alzare bandiera bianca
Il Napoli è uscito illeso dalla trappola di Firenze e vede il traguardo milionario della Champions. In una domenica allegorica, fatta di nomi arbitrali che minacciavano calvario e abisso, gli azzurri hanno vibrato la lira armoniosa del loro attacco letale. Sul rettilineo finale resta l’ostacolo Verona, squadra fastidiosa ma già salva e appagata. Rino Gattuso, novello Orfeo, dopo la risalita dagli inferi dovrà solo evitare di voltarsi prima del fischio finale e del suo addio. Il presidente Aurelio De Laurentiis attende il verdetto del campo e intanto lavora al nuovo Napoli. La solidità finanziaria resta prioritaria, ma il football è emozione, umidità dell’anima, e il presidente sa che non si vive solo di piazzamenti. Il tempo è complice stavolta: tra riduzione globale dei costi e riforma di coppe e campionati, il Napoli potrà coltivare ambizioni più grandi, indovinando le prossime scelte.
Napoli, invece, non ha più tempo e il 31 luglio giugno sarà in dissesto se il Governo, dopo un primo timidissimo aiuto, non si accollerà il debito monstre, gettando subito centinaia di milioni nel calderone bucato di Palazzo San Giacomo. Il muschio ha bisogno di millenni per spuntare sui ciottoli giapponesi di Lafcadio Hearns; a Luigi de Magistris sono bastati due mandati, tra debiti, disavanzo, deficit, mancati incassi e riscossioni, per allignare una “mala pianta” finanziaria che sfiora i cinque miliardi. Il Comune, in realtà, è già in dissesto da anni, segreto di Pulcinella che solo Gaetano Manfredi ha scoperto da poco. Terrorizzato dallo scartiloffio, l’ex magnifico rettore ha mandato in frantumi il “patto di Posillipo”, sventolando bandiera bianca con la classica lettera accorata alla città. Battiato avrebbe declinato l’omaggio dell’ex “mai candidato”, don Abbondio avrebbe ribadito che il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Sovviene infine il sindaco del rione Sanità che sosteneva, non a torto, che «l’uomo è uomo quando amministra, nella stessa misura, tanto il suo coraggio quanto la sua paura».
Peccato, perché Abbracciame cchiù forte di Di Maio–Sarracino e l’aperitivo “sci sci” del Miramare, per la gioia di Giacomo Rondinella, promettevano bene. Una farsa d’antan, che i protagonisti si ostinano a chiamare “politica”, che si aggiunge agli atti unici di de Magistris “Calabria mia” e di Maresca “Fantomas”. Istituzioni ridotte a palcoscenico da operetta; sarà per questo che la politica latita nei teatri veri, persino alle prime del Mercadante e del San Carlo. Dopo la denuncia di Isa Danieli sulla “contumacia” del sindaco, l’assessore Anna Maria Palmieri ha precisato di aver assistito agli spettacoli a nome del Comune, ma senza spiegare perché nessuno l’abbia riconosciuta.
Napoli è precipitata in un tragicomico Cafarnao, degno della cinepresa di Nadine Labaki. E se sventura maggiore sarebbe il ricorso a presunti eroi, pure è necessario restituire finalmente alla città un governo che sappia combinare coraggio e disciplina, passione e competenza. Il poeta palestinese Mahmoud Darwish descrisse Maradona come «un corpo di pallone, un cuore di leone, un piede di gazzella gigante». Ecco, servirebbe un sindaco così.
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