Volto sbarbato e folti capelli bianchi tirati all’indietro, lo ricordiamo soprattutto a sventolare al cielo, come un trofeo, un cartello con scritto “Non un centesimo all’Italia”. Geert Wilders, 61 anni, leader del Partito per la libertà dal 2006 quando lasciò i conservatori, in opposizione all’ingresso della Turchia in Unione Europea.
Ospite d’onore agli eventi della Lega di Matteo Salvini, è un politico di lungo corso sulla scena nazionale e comunitaria, che con le sue tesi anti-islam e anti-immigrazione è arrivato prima di tutti gli altri sui temi principali della destra più estrema di oggi, in Occidente.

Avanguardista di una retorica ormai all’ordine del giorno, a cui si dedicò al punto da girare un cortometraggio, che denunciava il fondamentalismo islamico. Cortometraggio che gli valse anche l’assegnazione del Premio Oriana Fallaci nel 2009. L’anno della sua consacrazione è stato però il 2023. Primo alle elezioni dei Paesi Bassi e cabina di regia, questa volta non per un cortometraggio, ma per formare il Governo.
Dopo un negoziato durato sette mesi e aver compreso che la sua presenza sarebbe stata ingombrante per gli altri alleati, fa un passo indietro dall’inquadratura e permette la nascita del Governo guidato dall’ex capo dell’intelligence, Dick Shoof.

Seppur non da attore-protagonista, forte dei suoi 37 seggi, Wilders è comunque il regista, l’ispiratore del Governo più a destra della storia del suo Paese. E i suoi punti programmatici anti-immigrazione, islamofobici, euroscettici sarebbero dovuti restare lì, sul copione della sceneggiatura. Tuttavia, negli ultimi undici mesi, gli attori della coalizione di Governo, hanno fatto fatica a stare dietro al copione e così si è arrivati all’ineluttabile momento in cui Wilders ha fatto irruzione in Parlamento e ha lanciato un out-out: accettate almeno sei dei dieci punti da lui proposti sui migranti oppure stop alle riprese.

Alla mancanza di risposta esplicita, ha alzato le braccia in segno di resa ed ha annunciato la decisione di staccare la spina, stanco di una coalizione che non ha fatto altro che ostacolarlo su ogni sua proposta.
Nel giro di poche ore, il premier Schoof era già al cospetto di re Willem Alexander per rassegnare le dimissioni. Per la terza volta in cinque anni gli olandesi torneranno alle urne, il 29 ottobre.

La scommessa di Wilders è evidente: stravincere la prossime elezioni in modo da non avere bisogno questa volta di una coalizione variegata. E già ha iniziato a mettere in moto la macchina della propaganda, offrendo una copertura politica alle ronde autonome di cittadini ai confini per tenere lontani i migranti. Si aggirano con torce e catarifrangenti presso i centri di accoglienza, al confine con la Germania, alla ricerca di richiedenti asilo e sono animati da Jan Huzen, in passato già promotore delle proteste dei trattori e di manifestazioni contro le mascherine e i vaccini durante la pandemia. Huzen è prezioso per Wilders, non solo perché condivide i suoi post, con tanto di cuoricino nella didascalia, ma perché tiene alto il tema dell’immigrazione sul quale fonda il suo consenso elettorale.

In un contesto storico come l’attuale tuttavia si fanno largo altre crisi internazionali che preoccupano gli olandesi e anche gli partiti anti-sistema del Paese, come quello dei contadini, non se la stanno passando bene e iniziano a rivedere le loro agende, comprendendo come nel Paese dei mulini a vento, di irresponsabili forse non c’è più voglia. E si attende un nuovo ciack.

Salvatore Baldari

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