Gennaro Migliore, ex parlamentare di Italia Viva e già sottosegretario alla Giustizia, condivide con noi il suo wishful thinking: il governo Meloni non durerà a lungo, il doppio colpo delle tre regionali e dei referendum farà esplodere le sue tensioni interne. «E a quel punto – dice l’esponente della sinistra riformista – dovremo tenerci pronti».

Il centrodestra perde colpi. Giustizia, balneari, tanti i dossier rimasti inevasi…
«Si sono proposti come una coalizione che a dispetto di qualsiasi differenza interna, sarebbe stata capace di governare. Evidentemente non è così. Vivono in una dimensione politicista tutta basata sul populismo. E il populismo prima o poi porta i nodi al pettine. La dimensione politica di questa coalizione è sempre più fragile. Non hanno mai avuto un programma comune, hanno sempre pensato di avvantaggiarsi di una qualità politica dettata dalla loro identità. E l’identità non basta».

Forse hanno sempre pensato di avvantaggiarsi anche delle divisioni del centrosinistra. Soffia un vento nuovo? La coalizione si allargherà e saprà unirsi?
«Il centrosinistra si deve concepire come un popolo in cammino. Sono emerse divisioni, è vero. E questo fa parte di una certa identità democratiche che pure va difesa, ma allo stesso tempo abbiamo la necessità di fare in modo che questa divisione non diventi un problema strutturale. Abbiamo tutti l’esigenza di porci il problema principale: qual è il bene dell’Italia? Costruire una coalizione per affrontare i problemi che il centrodestra non sa affrontare. Viene prima il Paese del partito. Di qualsiasi partito si tratti. Abbiamo la necessità di costruire un’alleanza non solo per dire qual è il peggio, ma quello che va fatto e che faremo, uniti. Dobbiamo essere pronti. Non solo perché io auspico che possa esserci un risultato, alle regionali e al referendum, che possa rovesciare le sorti. Sappiamo benissimo che oggi è possibile. Oggi abbiamo delle priorità ben precise».

A chi mette veti cosa dice?
«Ci vuole senso di responsabilità per una coalizione che chiamerei “per il Bene dell’Italia”, piuttosto che ragionare su interessi puramente elettorali. Questa classe politica non può emanciparsi dai livelli di controllo del proprio elettorato. L’idea che si debba privilegiare l’identità mi dispiace, mi disturba, perfino. Le identità non possono essere una gabbia».

In passato però, visto che richiama lo slogan usato da Romano Prodi, non è andata a finire bene.
«Però intanto con Prodi avevamo vinto. E poi non è che fallire una volta la prova del governo sia una condanna per sempre. Dobbiamo riprovarci, con la consapevolezza degli errori del passato».

Fratoianni, Bonelli e Conte hanno sollevato il sopracciglio appena hanno sentito parlare di Renzi e di Italia Viva.
«La prima prova di lealtà in una coalizione che si candida a governare è quella di avere una visione univoca della politica estera. Non si può aspettare che le guerre si risolvano da sole. Quando i propri comportamenti sono in aperto conflitto con quello che deve essere un programma condiviso, non si può pretendere di fare i primi della classe».

Ma sui balneari chi ha ragione?
«Quelli che non riescono a andare in spiaggia da tanti anni. Il tema della fruizione delle spiagge dovrebbe essere il tema numero uno per tutti. Capisco quanto possa essere arrabbiato chi ha investito negli stabilimenti, ma nel contempo vanno garantiti spazi per chi vuole andare nelle spiagge libere. Anche la mappatura delle spiagge mi sembra un fraintendimento. Le gare, le licenze: bisogna applicare le norme europee, la Bolkenstein e quelle previste dal Consiglio di Stato».

C’è chi cerca spiagge libere e chi la libertà la sogna, dietro le sbarre. Una volta per chi andava in carcere si diceva: «andare al fresco». Invece i penitenziari italiani sono torridi, sovraffollati, invivibili. E aumentano i suicidi.
«È l’urgenza che sento di più. I detenuti. Questo Dl Carceri non risolve niente. Penso la stessa cosa che dice Roberto Giachetti: c’è un disegno per far esplodere la situazione nelle carceri, dove davvero i detenuti sono stipati in condizioni inumane, per poi usare il pugno duro nel reprimere le rivolte».

Eppure c’è un signor garantista come il Ministro Nordio.
«Considero il ministro Carlo Nordio uno dei principali responsabili di questa situazione. La sua è stata una delle peggiori gestioni, con 62 suicidi quest’anno tra i detenuti e 7 tra gli agenti di polizia penitenziaria. Il ministro non ha trovato di meglio che dire: andrò al Quirinale per parlarne. Peccato che il Presidente della Repubblica abbia già detto in modo chiaro quale sia la sua convinzione sulle indecenti condizioni carcerarie».

Per non parlare della norma sui bambini in carcere. C’è chi fa castelli di sabbia e chi sta sui letti a castello, in gabbia…
«Quella norma mi fa francamente rivoltare. I figli delle detenute in carcere… Tutta la civiltà occidentale, al di là delle norme, prevede che i bambini piccoli stiano fuori dal carcere. È una crudeltà vera: avremo bambini dalla psiche alterata a causa del reato commesso dalla propria madre. La civiltà di un Paese si misura sulle carceri, su come lavora la polizia penitenziaria: questioni troppo spesso messe sotto al tappeto. E per me Nordio è una delusione doppia, perché speravo fosse il migliore dei ministri di questo governo».

Lei è stato sottosegretario alla giustizia con Renzi e Gentiloni. Sulla giustizia c’è spazio per un garantismo puro, a sinistra?
«Il garantismo non è puro, né impuro. È rispetto per la Costituzione. Non penso che si può essere giustizialisti e garantisti a seconda delle situazioni, come sostiene Conte. Io sono sempre stato garantista perché credo nell’art.27 della Costituzione. E nel rispetto delle norme. È giusto essere garantisti con i politici, ma io sono garantista anche e soprattutto con i poveri cristi che stanno in condizioni disumane e degradanti. Poi è evidente che molte strumentalizzazioni sono state fatte. Ci sono molti partiti che sono nati sulla commistione tra manipolazione mediatica delle inchieste e tornaconto politico, spero che gli italiani se ne siano accorti: alla fine quello che è andato a indebolirsi è il sistema democratico in quanto tale».

A proposito di Gentiloni, da settembre torna in Italia. Sposterà l’asse del Pd?
«Penso che Gentiloni non abbia mai lasciato l’Italia. Averlo avuto come Commissario europeo ci ha garantito una salvaguardia degli interessi italiani. Ci accorgeremo della sua assenza in Europa, visto che la Meloni ha scelto la strada dell’indebolimento dell’Italia. Sia per le rate del Pnrr, che sono a consuntivo e non a impegno di spesa, sia per le regole fiscali che l’Italia dovrà rispettare. Al suo ritorno deciderà lui cosa vorrà fare».

Settembre, tempo di rimpasto. Mandato un commissario in Europa, possono riacuirsi le tensioni interne?
«Il governo più che dal rimpasto verrà messo in discussione dalla legittimazione da parte della Corte del Referendum. E poi la campagna referendaria porrà il governo Meloni davanti a una scelta esiziale. C’è una forza che si dice riformista, Forza Italia, che poi ha un atteggiamento subalterno. Chiunque sarà il commissario, e spero che sarà uno importante, spero lavori bene. È stata Giorgia Meloni a metterlo su una strada in salita».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.