Dopo l’omicidio di Ismail Haniyeh, il capo dell’ufficio politico di Hamas ucciso mentre si trovava a Teheran, nella capitale iraniana si è tenuto un vertice. I più alti funzionari della Repubblica islamica hanno convocato i rappresentanti di tutto l’Asse della resistenza. Una riunione con esponenti di milizie popolari irachene, Hezbollah, siriani, Houthi yemeniti, di Hamas e del Jihad islamico palestinese. E tutto per un solo scopo: coordinare la vendetta nei confronti di Israele. Una rappresaglia che l’Iran vuole gestire colpendo direttamente lo Stato ebraico per rispondere allo “schiaffo” del Mossad. Ma che deve essere anche sfruttare le altre milizie soprattutto per dimostrare a Israele e agli Stati Uniti di poter contare ancora su quella grande costellazione di forze che negli anni è diventata la vera e propria arma strategica di Teheran. Forse anche più dell’ambita (e più o meno lontana) bomba atomica oggetto delle trattative con l’Occidente e dei piani di battaglia israeliani.

Per gli ayatollah, avere costruito questa rete di alleanze in tutto il Medio Oriente è un elemento strategico fondamentale. Grazie a una lenta e graduale pianificazione fatta di accordi con le forze sciite, da sempre legate a Teheran, gli iraniani hanno costituito intorno a Israele e intorno ai principali rivali arabi una sorta di cintura di fuoco in grado di colpire i loro nemici alla prima occasione. Milizie ma anche governi certamente meno forti di Israele, sia a livello tecnologico che economico, ma che rappresentano una minaccia costante per chiunque. Per lo Stato ebraico, per le rotte commerciali, per le basi americane in Medio Oriente, per gli impianti petroliferi sauditi, per le petromonarchie del Golfo, per i ribelli, per i governi locali.

In questo grande sistema, il Libano è certamente il pilastro. E non è un caso che è qui, tra il sud del Paese dei cedri, la valle della Bekaa e Beirut che si concentrano da anni (e specialmente dal 7 ottobre) le operazioni delle Israel defense forces. Da quando è stato ucciso uno dei massimi comandanti di Hezbollah, Fouad Shukr, la milizia sciita ha promesso una vendetta nei confronti di Israele. Ma allo stesso tempo, i combattenti filoiraniani hanno spostato missili, svuotato depositi, evacuato (secondo l’emittente saudita Al-Hadath) addirittura il quartier generale di Beirut per paura di una controrisposta israeliana. Per il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è un momento fondamentale per la sua strategia a lungo termine. Sa che deve reagire, ma sa anche che il Libano non può permettersi una guerra, e che il governo ma soprattutto le altre fazioni del Paese, non sono disposte a combattere un conflitto su vasta scala scatenato dagli sciiti.

Al fianco del Libano, la Siria è l’altro grande elemento chiave della cintura di fuoco iraniana intorno a Israele. Dalla guerra esplosa nel 2011, Israele ha bombardato centinaia di volte in territorio siriano per colpire le unità iraniane, in particolare i Pasdaran, gli Hezbollah ma anche le forze legate a Bashar al Assad. E con lo scoppio del conflitto nella Striscia di Gaza, i raid delle Israel defense forces, pur ridotti nel numero, non si sono arrestati del tutto. E molti osservatori considerano la Siria come parte essenziale del fronte nord israeliano insieme al Libano. Non è un caso che in questi giorni, specialmente perché l’ultimo attacco che ha scatenato la rabbia israeliano ha colpito le Alture del Golan, molti esperti abbiano guardato con attenzione alle mosse dell’asse sciita in Siria. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, la controversa organizzazione con sede nel Regno Unito e che ha avuto un ruolo mediatico fondamentale durante la guerra, ha lanciato l’indiscrezione secondo cui le forze filoiraniane del Paese starebbero preparando attacchi contro Israele attraverso lanci di droni provenienti dal deserto siriano o dai sobborghi di Damasco.

Più a est, il corridoio sciita per unire l’Iran ai confini israeliani è rappresentato poi dall’Iraq. Anello fondamentale della catena di Teheran, a Baghdad le forze popolari sciite sono sempre più forti. Gli Stati Uniti lo sanno, e non a caso già a fine luglio hanno di nuovo bombardato le potazioni delle unità filoiraniane non lontano dalla capitale irachena. Qualche osservatore ritiene che gli iraniani potrebbero colpire Israele dal deserto siriano spacciando le proprie forze per milizie irachene. Ma non è un mistero che le unità popolari del Paese sono da sempre attive nel lancio di droni e missili anche contro le basi Usa, e che spesso abbiano avuto un ruolo centrale nella pressione esercitata da Teheran su Israele e su tutti gli alleati dello Stato ebraico nella regione.

Stesso ruolo, ma con maggiore autonomia, che hanno gli Houthi in Yemen. Una milizia diventata sempre più forte e sempre più capace di mettere sotto scacco l’Occidente con la sua guerra alle rotte commerciali ma anche con i lanci di droni e missili verso Israele. E non è un caso che nell’ultima telefonata tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu, la Casa Bianca abbia discusso di “nuovi dispiegamenti militari” per la protezione di Israele e “di fronte a tutte le minacce dell’Iran, compresi i gruppi terroristici che lo rappresentano, Hamas, Hezbollah e gli Houthi”. L’ultimo drone lanciato su Tel Aviv ha di nuovo innalzato la percezione del rischio rappresentato dai miliziani yemeniti. E gli analisti hanno messo in guardia da molte settimane sul pericolo di un attacco coordinato di tutte le forze filoiraniane per le difese aeree dello Stato ebraico. Una costellazione di forze di cui ora, soprattutto dopo il 7 ottobre, fa parte a tutti gli effetti anche Hamas (insieme al Jihad islamico palestinese). L’omicidio di Haniyeh ha rafforzato ancora di più l’asse con la Repubblica islamica. E nonostante le divergenze ideologiche, l’Iran sa di avere un’arma fondamentale nella Striscia di Gaza. Un legame che si è rafforzato anche grazie al lavoro di Yahya Sinwar: il leader di Hamas nascosto nei tunnel tra Khan Younis e Rafah.