La guida suprema Ali Khamenei appariva insolitamente teso mentre celebrava il rito funebre per Ismail Haniyeh. Era inquieto, nervoso. Sembrava scrutare il cielo come alla ricerca di un drone-zanzara. Pensava forse di poter essere lui il prossimo bersaglio? Sa che a richiederlo è soprattutto la popolazione iraniana che lotta da tempo per rovesciare il regime degli ayatollah. Pregava accanto alla bara dove vi erano i pochi resti del corpo di Haniyeh, attorniato da una miriade di guardie di sicurezza, ma un drone potrebbe comunque colpirlo in ogni momento e, come dicono i giovani in Iran, fare di lui una “cotoletta” come è accaduto a Soleimani e ad Haniyeh.

Le otto ore drammatiche

Quelle otto drammatiche ore in cui Israele ha fatto fuori il numero due di Hezbollah a Beirut e il numero uno di Hamas a Tehran resteranno scolpite nella storia e nella memoria dei leader della Repubblica islamica iraniana. È stata messa a nudo la loro inadeguatezza di intelligence e sicurezza. È noto il loro divario tecnologico rispetto a Israele e non ci dobbiamo aspettare che l’Iran reagisca in maniera forte nei confronti dello Stato ebraico, per tre motivi: in primo luogo perché in una eventuale escalation non avrebbe alcuna possibilità di successo; in un secondo luogo perché Tehran non ha alcun interesse a rischiare di impantanarsi in un conflitto in Medio Oriente, con il mondo musulmano frastagliato e diviso, per l’uccisione di un personaggio che non era parte al regime, un sunnita che apparteneva alla Fratellanza musulmana e che rappresentava per Tehran un elemento destabilizzante in Siria, alleato come era dei gruppi arabi-sunniti anti Assad che combattono contro le milizie filoiraniane: nemici dunque oltre che del dittatore di Damasco, anche dell’Iran e della Russia. In terzo luogo perché l’Iran è in condizioni economiche disastrose, soprattutto da quando nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump si ritirò dall’accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015 dai Paesi del P5+1 e impose sanzioni ancora più severe all’Iran. Da quel momento l’economia iraniana si inabissò in una crisi profonda dalla quale non si è più ripresa. Soprattutto per questo è stato eletto alla presidenza dell’Iran Pezeshkian, presentato da Khamemei come un “moderato” e quindi come una figura rassicurante, che dunque per il regime iraniano deve fungere da parafulmine per l’apertura di un dialogo con l’occidente finalizzato alla rimozione delle sanzioni, condizione necessaria per rimettere in piedi il paese e dunque per salvare la Repubblica islamica dei mullah e dei pasdaran che è molto odiata in patria, avversata e contestata sia da larghi settori dell’imprenditoria del paese che dalle generazioni più giovani in lotta per la liberazione dal regime dei mullah accusati anche di sfruttare la causa palestinese come un giocattolo retorico per rafforzare la propria influenza nel mondo musulmano.

La reazione

L’Iran con ogni probabilità non reagirà se non a scopo meramente dimostrativo. Il regime metterà in atto qualche operazione militare di facciata, giusto per salvare la propria lesa onorabilità. Non può fare nulla e non ne ha nemmeno voglia di vendicare Haniyeh. Anzi, dopo questo duplice attentato dovremmo aspettarci che sia Tehran, sia Hezbollah e Hamas modereranno un po’ i termini della loro retorica. I capi pasdaran hanno davvero paura, sono raggiungibili ovunque, così i leader di Hezbollah e di Hamas e si guarderanno bene dal porre in atto azioni clamorose. Che sia Khaled Mashaal o Sinwar il nuovo leader di Hamas, ci dobbiamo aspettare maggiore disponibilità di entrambi per un accordo. Paradossalmente l’uccisione di Haniyeh potrebbe dunque facilitare la ripresa di un dialogo per una via di uscita dal conflitto a Gaza.

Anche la Turchia, così come i sauditi e i sunniti in generale non sono eccessivamente dispiaciuti per l’uscita di scena di Haniyeh anche perché si trattava pur sempre di un sunnita troppo vicino a Khamenei, dunque all’Iran, competitor e nemico regionale. Ora, quindi è più probabile riportare Hamas dove era prima che ne assumesse la guida Haniyeh, un leader troppo estremista, che non voleva la pace, a cui faceva comodo il sangue dei palestinesi perché alimentava l’odio verso Israele. Insomma Haniyeh con il suo estremismo non poteva certo accreditarsi come un serio e credibile negoziatore di pace e per questo motivo per molti attori regionali rappresentava solo un fastidioso problema. I sunniti palestinesi e filo palestinesi non hanno mai gradito il fatto che Haniyeh con la sua guida politica avesse spostato troppo Hamas verso l’Iran. Ora tutti questi attori tirano un sospiro di sollievo e Hamas forse potrà ritornare alle sue origini poliche-ideoligiche.