La crisi industriale tedesca è una delle più grandi che la Germania ha dovuto affrontare dal dopo guerra ad oggi. Secondo molti analisti, essa corre il rischio di lasciare danni permanenti nella struttura economica e sociale di quella che, non più di due anni fa, era considerata la locomotiva d’Europa. E di questo c’è poco da godere. La relazione economica, industriale e finanziaria che lega Germania e Italia è tale che se Berlino piange Roma non ride. Basti pensare, ad esempio, che la filiera della componentistica italiana ha tra i clienti più importanti proprio dei produttori tedeschi. Quegli stessi produttori, Volkswagen, Audi o Porsche, che annunciano tagli con chiusure di impianti e licenziamenti. L’economia tedesca nel 2024 non crescerà con il Pil a zero. Nel 2025 le cose dovrebbero migliorare con un aumento dell’un per cento.

Ragioni decennali

Da dove arriva la crisi industriale tedesca? Come mai i policy maker a Berlino non hanno capito ciò che stava accadendo e agito di conseguenza? Quando una crisi esplode con tanta virulenza è evidente che essa non è causata solo da motivi contingenti ma deriva da una situazione che covava da tempo. Il quindicennio d’oro di Angela Merkel, cancelliere tedesco dal 2005 al 2021, in realtà si è rivelato pieno di insidie per il futuro della Germania. Angela Merkel ha ereditato le riforme del lavoro del suo predecessore, Gerard Schröder, che hanno consentito di realizzare il cosiddetto “miracolo del lavoro tedesco”: un periodo lungo più di dieci anni in cui le retribuzioni sono aumentate sostenute da una galoppante crescita della produttività. Ad oggi, però, la stessa produttività è al palo, vivendo un periodo di stagnazione che dura da più di diciotto mesi. L’aumento delle retribuzioni, il calo della produzione dovuto alle crisi globali, la crescita dei costi energetici sono la principale causa della diminuzione. Una situazione creatasi durante il cancellierato Merkel ma che è esplosa poi.

Russia e Cina

Oltre al calo della produttività i motivi del declino dell’industria tedesca sono altri due. Anzitutto, negli ultimi quarant’anni la Germania ha goduto di un rapporto privilegiato con la Russia. Con gli accordi stretti con Mosca già dall’inizio degli anni Settanta, la cosiddetta “Ostpolitik”, Berlino è riuscita ad accedere agli enormi giacimenti di gas e petrolio russo a prezzi molto più bassi dei concorrenti occidentali. Non solo, con la creazione del Gasdotto Nord Stream il legame tra Russia e Germania è diventato cosi stretto che prima dell’inizio del conflitto con l’Ucraina, il 50 per cento del gas tedesco arrivava proprio dalla Russia. Il sabotaggio del Gasdotto e le successive sanzioni a Mosca hanno portato la Germania, per la prima volta nella sua storia industriale, a dover agire in un mercato energetico in cui non è lei a fare i prezzi ma i grandi produttori.

Il risultato? Le aziende energivore tedesche si sono viste aumentare in maniera enorme la bolletta energetica. Sempre durante i quindici anni d’oro di Angela Merkel, la Germania si è legata a doppio filo con la Cina. Berlino, infatti, ha capito prima dei partner europei che quello cinese è un mercato dalle enormi possibilità. Non solo l’industria pesante teutonica ne ha approfittato per delocalizzarsi in Estremo Oriente ma le aziende hanno potuto accedere in via privilegiata a questo mercato fino a quando la Cina non è andata in crisi prima per la politica di “zero Covid”, con la chiusura delle fabbriche poi per la crisi immobiliare che ha fatto diminuire i consumi.

La tempesta perfetta

Sanzioni alla Russia, Cina in crisi, stallo della produttività hanno rappresentato la tempesta perfetta per l’industria e l’economia tedesca. La quale, però, avrebbe un’arma in più rispetto all’Italia: le politiche di bilancio. Con un debito pubblico pari a circa il 60 per cento del Pil, il Governo Scholz avrebbe potuto intervenire ampiamente almeno sul lato della produttività. Invece è stato un esecutivo prigioniero dei suoi estremi: da un lato i liberali ai quali non si deve parlare mai di debito pubblico; dall’altro i verdi che hanno portato alla chiusura delle centrali nucleari. Oltre alle ragioni globali, quindi, quelle domestiche hanno determinato l’attuale livello di crisi. L’orizzonte non sembra più roseo almeno per tutto il 2025: la politica sarà bloccata fino alle elezioni del 23 febbraio e nei successivi mesi per la creazione di una coalizione di governo visto che nei sondaggi nessun partito viaggia verso la maggioranza.

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