Dazi
I mercati puniscono Trump e l’abbandono del libero scambio: così viene testata la sua soglia del dolore

I mercati finanziari stanno punendo duramente la scelta compiuta da Donald Trump di imporre dazi draconiani contro il resto del mondo. Una decisione, quella del presidente americano, che rischia di distruggere tutto quanto il mondo Occidentale ha faticosamente costruito negli ultimi 70 anni, con la costruzione di un ordine sociale ed economico basato su due pilastri fondamentali: la democrazia e il libero mercato. Crollano i mercati perché le aspettative sono di una recessione imminente, come conferma anche il calo del dollaro e il non aumento dei tassi d’interesse osservato nelle ultime ore, segnale inequivocabile che non dei prezzi ma della crescita gli investitori sono in questo momento preoccupati.
Certamente non si può non tenere in considerazione che ormai da tempo sia partito dall’America un tentativo generalizzato di deglobalizzazione, con le classi medie che hanno peggiorato le loro condizioni di vita negli ultimi anni. Era evidente che, prima o poi, stante questo malessere, qualcosa di grosso dovesse accadere, e da questo punto di vista Trump è stato bravo nel farsi interprete dei disagi dell’americano medio e detonatore di questo malessere. Per l’Europa tutto questo è un grande problema, perché la guerra dei dazi comporterà inesorabilmente un crollo della domanda proveniente dagli USA di beni e servizi europei, e quindi occorrerà capire come supplire a tale calo con la domanda interna, o con quella proveniente da altri Paesi extra UE.
I mercati stanno testando la “soglia del dolore” di Trump, l’autarchia USA potrebbe essere errore fatale
Per Trump questa guerra commerciale rischia di essere una rischiosa attraversata nel deserto, perché i mercati andranno avanti fino in fondo per testare “la soglia del dolore” del presidente americano, ovvero quel livello oltre il quale sarà disposto a fare marcia indietro e sedersi attorno ad un tavolo per negoziare. La soglia di dolore degli USA è certamente molto alta, ma proprio per questo il rischio è quello di accorgersi troppo in ritardo dei danni irreparabili che le politiche protezionistiche stanno provocando, a partire dalla fuga massiva di investitori non più disposti a tollerare l’incertezza e l’autarchia della Trumpnomics. Punire il commercio è punire chi investe e l’abbandono da parte degli Stati Uniti della via maestra del libero mercato potrebbe essere per loro un errore fatale, sinonimo di una debolezza economica finora ben mascherata e che ora emerge all’improvviso. Ancor peggio, dal punto di vista economico l’idea trumpiana di voler azzerare il gigantesco deficit commerciale che gli Stati Uniti hanno accumulato nei confronti del resto del mondo mediante l’introduzione di elevatissime tariffe “reciproche” sulle importazioni, peraltro calcolate con metodologie alchimistiche e parecchio lontane dalla realtà, è destituita da qualsiasi logica razionale e culminerà in un clamoroso fallimento a danno in primis degli stessi Stati Uniti.
La UE non segua Trump nella sua folle guerra commerciale, abbia fiducia nel valore del libero mercato sul quale è fondata
L’American First, slogan dietro al quale si nasconde il nazionalismo economico di Trump, null’altro è che l’ennesimo revival delle teorie mercantiliste già propagandate in Europa durante il Settecento. Teorie che furono poi sonoramente sconfitte dall’avvento del libero scambio e del commercio internazionale, che la storia dimostrò essere il vero motore dello sviluppo economico e sociale. Libero scambio che è stato un pilastro fondamentale sul quale si è basato il successo del modello americano negli scorsi secoli e sul quale anche l’Unione Europea è stata forgiata. In questo momento estremamente drammatico per il mondo intero, l’auspicio allora è quello che proprio la UE rimanga compatta e unita nel dare una risposta comune alla guerra dei dazi e che non insegua il presidente americano nella sua folle corsa alla chiusura, confermando, al contrario, la sua fiducia incondizionata nei valori del libero mercato e dell’apertura internazionale.
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