A distanza di più di settant’anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale appare quanto mai attuale il contenuto dell’art. 21 a tutela della libertà di espressione e dell’informazione. Il riferimento, poi, nel richiamato articolo, a “ogni altro mezzo di diffusione”, consente di estendere ad ampio raggio la portata del principio costituzionale, elemento essenziale nell’equilibrio tra i pesi contrapposti della democrazia. Il demos sociale e politico, per realizzarsi concretamente, richiede un contesto fondato su un concetto di libertà non completamente illimitato, ma che sia basato sull’informazione, intesa – secondo l’insegnamento aristotelico – come strumento di accesso ai meccanismi di controllo del potere.

Oggi però, nell’era digitale, con il passaggio dalla carta stampata ai bit, si delinea un panorama in cui le notizie sono sì libere, ma anche disordinate, disorganizzate e non filtrate. Il cittadino si affida, non al miglior risultato in termini di attendibilità, ma a quello che ottiene più successo, popolarità e collegamenti da altri siti o pagine social, con la conseguenza di consegnare la “verità” alla Search Engine Optimization, ovverosia a un motore di ricerca, o ad altri sofisticati strumenti; diversamente i giornali sembrano aver subito una profonda trasformazione: da attivi “veicolatori” della realtà a soggetti passivi, dipendenti dagli algoritmi.

Del resto, i rapporti di forza tra operatori online e quelli tradizionali sono inevitabilmente mutati. Non solo perché gli algoritmi sono in grado di orientare il successo di una notizia, ma anche perché, in questo sistema, gli editori, che distribuiscono le proprie news all’interno della piattaforma, rischiano di veder crollare la notorietà del “brand” della propria testata giornalistica in favore di quello dell’intermediario attraverso il quale viene presentata la notizia. Il problema riguarda quindi la composizione del mercato e la sua sostenibilità. La progressiva difficoltà a “diffondere” contenuti di qualità da parte dei media tradizionali accresce sempre più il potere della Rete.

Il crollo dei ricavi editoriali non comporta solo un problema di ordine economico e finanziario, ma può rappresentare una criticità per l’intera società civile. Infatti, una delle forme più pericolose di annichilimento è la censura “per moltiplicazione”: quando cioè si annegano le notizie in un contesto di informazioni irrilevanti. È anche questo il meccanismo che dobbiamo contrastare: la Rete non può incarnare quel “Funes el memorioso” che disdegnava Borges, quell’uomo che, pur ricordando tutto, è bloccato dalla sua incapacità di selezionare e di buttar via.

Per arrestare questo declino, potrebbe essere utile prendere atto concretamente del ruolo dei new media e immaginare una sorta di «news quality obligation» a loro carico, pur se sotto la supervisione di un regolatore: migliorare la comprensione dell’origine degli articoli e l’affidabilità delle notizie. D’altra parte, in un sistema dove i cittadini sono esposti a un overload informativo, le fonti tradizionali diventano un faro. Sostenerle appare dunque essenziale. Certo la progressiva riduzione, fino alla totale abolizione dall’annualità 2023, introdotta dalla legge di bilancio 2020, delle sovvenzioni all’editoria non agevolerà un settore già in crisi, ma porrà anche in discussione il ruolo che si vorrà dare al bene pubblico “informazione”.