Prima di quella mattina di inizio giugno 2010 mai si sarebbe potuto immaginare che il Capo e il Vicecapo della Polizia avessero al Viminale un angolo dedicato a una collezione di antichissimi carillon.

L’indimenticato e indimenticabile prefetto Antonio Manganelli li mostrò con orgogliosa tenerezza alla delegazione lgbt ricevuta con urgenza dopo l’ennesimo grave attacco omofobico che si era consumato a Roma nell’ultimo sabato di maggio.

Il presidente di GayLib, Enrico Oliari capì che non si poteva restare ancora inerti a ciondolarsi tra le infinite sedute delle commissioni parlamentari prese a rimpallarsi la proposta di legge già allora in discussione contro l’omotransfobia, così in un sabato sera di tarda primavera impugnò carta e penna e sul tavolo di un ristorante prese forma la lettera indirizzata ai vertici della Polizia e dei Carabinieri.

La missiva fu anticipata alle agenzie di stampa e rilanciata già nella giornata di domenica, cosicché arrivò a destinazione prima ancora di essere fisicamente inviata.

Nessuno, tuttavia, avrebbe mai immaginato di ricevere il lunedì mattina di buon’ora una convocazione a Roma in quattro e quattr’otto per discutere proprio di omofobia con il responsabile della sicurezza nazionale.

La questione del resto scottava e lo sapevano tanto le istituzioni quanto le associazioni. Era, infatti, passato meno di un anno dalla tristissima vicenda che vide un ragazzo gay spagnolo accoltellato all’esterno del Gay Village di Roma. E diversi casi che avevano riguardato persone lgbt avevano fatto registrare una scarsa sensibilità e forse una non adeguata conoscenza delle minoranze gay, lesbiche e trans da parte delle forze dell’ordine.

Tutte fattispecie verificate e in parte confermate nel corso del lungo incontro tra il Capo della Polizia e i vertici delle associazioni GayLib, Arcigay e Rete Lenford.

La fine dell’incontro, però, fu particolarmente lieta perché il prefetto Manganelli lanciò l’idea, accolta con entusiasmo dalla delegazione presente, di lanciare uno “sportello antidiscriminazioni” che poi nel decreto, emesso a stretto giro, divenne l’Oscad (Osservatorio contro gli atti discriminatori) che da ormai dieci anni conosciamo e grazie al quale le forze dell’ordine italiane sono diventate all’avanguardia in tutta Europa nella tutela delle diversità di orientamento sessuale e di genere grazie anche a corsi specifici destinati agli allievi delle scuole di Polizia e Carabinieri.

Oscad, successivamente entrata in regime di protocollo di intesa con Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), da allora ogni anno continua, oltre all’attività di monitoraggio e ascolto quotidiano, a produrre un rapporto, l’ultimo dei quali presentato a inizio 2020 dalla ministra degli Interni, Lamorgese che ha evidenziato un preoccupante aumento delle discriminazioni razziali e una situazione sostanzialmente stazionaria delle alte fattispecie di reato a sfondo discriminatorio.

Nel corso del decennio, tuttavia, il lungo dibattito sulle condotte omotransfobiche ha chiarito ulteriormente come in numerosissimi casi e situazioni l’omofobia non sia conclamata o soltanto legata a episodi di violenza fisica ma forse più spesso intrinseca a comunità, famiglie, gruppi di lavoro che tendono a isolare, bullizzare, discriminare in maniera sottile, tanto invisibile quanto devastante sotto il profilo psicologico per la vittima che la subisce.

Si tratta di episodi che contribuiscono in maniera decisiva e da non sottovalutare in alcun modo all’insorgere di un sottofondo discriminatorio diffuso quanto impalpabile che probabilmente solo attraverso la proposta di momenti di cultura e prevenzione mirati, anche dal basso, con la collaborazione e il maggiore coinvolgimento sotto la tutela Oscad/Unar proprio di gruppi e associazioni, in ambiti formativi come scuole e università, può provare a costruire un argine che darebbe peraltro maggior senso anche al lavoro dei legislatori che, salvo ulteriori imprevisti, in estate arriverà alla discussione dell’aula e, si auspica, alla redazione di un unico testo di legge di contrasto alle condotte omotransfobiche che possa essere entro tempi ragionevoli approvato per fare in modo che l’Italia compia un ulteriore passo nella direzione della tutela dei cittadini lgbt.