La nascita del Governo Draghi è davvero la congiuntura più fortunata che potesse capitare a Forza Italia. Lo ha capito bene e immediatamente Silvio Berlusconi, il quale dopo l’esilio preventivo da Roma che il Cav si era autoimposto da un anno in funzione precauzionale anti-contagio, non appena si è parata all’orizzonte la sagoma di Super Mario, è tornato giaguaro ed è balzato in una notte nella Capitale, accolto, va detto, con tutti gli onori possibili dallo stesso Draghi.
Salamelecchi a parte, tra gomiti e mascherine, tuttavia, il merito dell’ennesima discesa in campo di Silvio Berlusconi è totalmente e profondamente politico.
Il Governo Draghi, infatti, è un pasto per palati forti. Altissima la posta in gioco nazionale e europea. Altissimo il risiko politico con il quale è stato sapientemente disegnato. La sostanziosa partita di viceministri e sottosegretari, c’è da giurarci, sarà un altro esplicativo bignami del celebre manuale.
A Forza Italia, però, data per morta più volte pure da quelli che dovevano o avrebbero dovuto essere i suoi luogotenenti, è capitata la smodata fortuna, in un solo colpo, di smarcarsi dal sovranismo degli alleati Salvini e Meloni e tornare a confrontarsi alla pari proprio con la Lega. Il premier, infatti, ha spartito i ministeri dei due partiti provenienti dall’opposizione con un tre a testa.
Tra magagne e mugugni, soprattutto delle componenti rimaste filo-sovraniste, ciò che rimane scritto è la svolta moderata (se più o meno convinta lo vedremo) di Matteo Salvini e una spinta forte all’ala più liberale e riformista di Forza Italia con l’approdo al Governo di figure autorevoli e fino a oggi in sofferenza come quelle di Mara Carfagna e Renato Brunetta. La stessa Maria Stella Gelmini, berlusconiana di stretta osservanza e della prima ora, non è certo ascrivibile al 100% al nuovo cerchio magico filo-leghista in cui si era trovato avvolto il Cavaliere nell’ultimo anno e mezzo. Cerchio magico che, non a caso, con l’inizio della nuova settimana, ha preteso l’assegnazione dei gradi all’interno del partito e vede: Antonio Tajani neo-coordinatore nazionale, Anna Maria Bernini vicecoordinatrice e la tessitrice azzurra delle fila sovraniste, Licia Ronzulli, responsabile per i (complicati) rapporti con gli alleati.
A questa analisi si aggiungano altri due fattori non secondari: l’ormai dichiarato smarcamento di Italia Viva da posizioni di centrosinistra e il consenso unanime all’opzione Draghi giunto anche da Calenda e Bonino.
Nella prospettiva politica italica, insomma, dopo anni di buio pesto e inutili, litigiose frammentazioni, si staglia almeno la possibilità palese di dare vita a quel fronte liberaldemocratico, riformatore e riformista, centrale e, grazie a Draghi, di governo.
Ci saranno due anni, si spera, per lavorare al quadro che, sia pure con un decennio di ritardo, potrebbe rappresentare davvero il perno dell’assetto politico futuro del Paese, capace di superare definitivamente una logica bipolarista da troppo tempo non più realistica nei fatti ma sempre reiterata (soprattutto a livello locale, in regioni e comuni) in massima parte per la paura di cambiare davvero il verso dell’intero proscenio e correre il rischio di perdere pacchetti di consensi.
Nessuno, infatti, fino ad oggi, in Italia, nemmeno il senatore di Firenze a ben vedere, è riuscito ad attuare la “rivoluzione in marcia” pensata e praticata con successo da Emmanuel Macron in Francia.
Mai come ora, però, la prateria è aperta e gli arbitri, tra Quirinale e Palazzo Chigi, propensi a lasciar prendere la rincorsa.
A vincere, tuttavia, sarà solo chi si dimostrerà davvero capace e efficace. Il professore in cattedra che ha disposto i banchi è bravo ma sufficientemente severo. Difficile che si possa bluffare troppo o perdere ancora altro tempo. Ne vedremo delle belle. Era ora.