C’è da credere che Nicola Gratteri sia perlopiù in buona fede. Il procuratore della Repubblica di Catanzaro è in buona fede quando, rispondendo a una domanda di Lilli Gruber sui toni violenti del dibattito pubblico, risponde che chi fa opinione deve stare attento a come parla perché «ognuno di noi abbiamo un seguito». È in buona fede perché con quel suo italiano un po’ così crede davvero che compito del magistrato sia di «fare opinione», e che per farla sia legittimo lasciarsi andare a requisitorie social contro i giornali che non concedono abbastanza spazio alle sue iniziative e non assumono il verbo opposto secondo cui la politica in Calabria è una montagna di merda, che è quello che a Gratteri invece piace e di cui infatti non si lamenta quando lo ripropone sul suo profilo Twitter.

È in buona fede, questo magistrato che in televisione si occupa di fondi europei, di liste elettorali, di droga, di figli che bestemmiano, quando dimostra di credere veramente che sia “fisiologico” dover assistere agli innumeri casi di detenzione ingiusta registrati ogni anno in questo Paese, perché dopotutto si tratta del costo inevitabile della guerra alla corruzione e alle mafie. E non è in mala fede quando, a fronte dei tanti provvedimenti di scarcerazione disposti nei confronti dei troppi coinvolti nell’ultimo rastrellamento giudiziario da lui ordinato, spiega che un conto sono le esigenze cautelari e un altro conto sono le responsabilità: che significa che magari non bisognava arrestarli, ma vedrete che qualche mascalzonata l’han fatta. E pace se, in un sistema civile, non andare in galera senza motivo e prima del processo dovrebbe costituire un diritto forte, non una speranza travolta da una retata della rivoluzione giudiziaria che smonta come un giocattolo un pezzo d’Italia.

Diversamente, è più difficile riconoscere a Gratteri anche solo un pizzico di buona fede quando spiega che «bisogna smetterla con questa storia dei politici sotto schiaffo», perché «se uno non ha nulla da temere, non ha ragione di preoccuparsi» (così, ieri, in un’intervista resa al direttore di Libero, Pietro Senaldi). Perché qui occorre intendersi. O questo influencer di Telecinquestelle (aka La7, ma Gratteri è notoriamente guest star un po’ dappertutto) non sa che politici e cittadini comuni sono affidati alle cure di giustizia anche quando non avrebbero proprio nulla da temere, se non appunto la giustizia che li fa a pezzi: e allora dovrebbe dare un’occhiata alle statistiche che raccontano quella vicenda a lui sconosciuta; oppure lo sa, come dovrebbe saperlo chiunque non sia esclusivamente fedele alla teoria ministeriale secondo cui “gli innocenti non finiscono in carcere”: e allora a quella sua dichiarazione non si può attribuire nemmeno il candore un po’ osceno con cui l’innocenza in galera è trattata come l’effetto collaterale di una politica repressiva ben poco intelligente. Nei due casi, ci sarebbe ragione di preoccuparsi altroché.