Il rischio, per i patiti di serie tv e di cinema, è che nei prossimi mesi si vedranno importanti ritardi nelle “consegne” delle attese nuove uscite, mentre nella programmazione dei talk show serali delle emittenti tv statunitensi gli effetti saranno visibili da subito.

È la conseguenza dello sciopero indetto lunedì sera dalla Writers Guild of America (WGA), l’associazione che rappresenta gli sceneggiatori che lavorano a Hollywood e che può contare su oltre 11mila aderenti: a partire dalla giornata odierna, martedì 2 maggio, gli sceneggiatori incroceranno le braccia dopo il fallimento della trattativa in stallo da settimane con i rappresentanti dei produttori cinematografici e televisivi, dopo che il contratto collettivo era scaduto dopo tre anni.

L’organizzazione ha twittato le sue ragioni spiegando che i membri del consiglio di amministrazione della WGA “agendo in base all’autorità concessagli dai loro membri, hanno votato all’unanimità l’indizione dello sciopero”. “Anche se abbiamo manifestato l’intenzione di fare un accordo equo le risposte degli studios alle nostre proposte sono state del tutto insufficienti, data la crisi che gli scrittori stanno affrontando”, si legge in una dichiarazione del sindacato degli sceneggiatori. “Hanno chiuso la porta alla loro forza lavoro e l’hanno aperta alla scrittura come professione interamente freelance. Nessun accordo del genere potrebbe mai essere contemplato” dall’organizzazione, che rivendica per gli autori una retribuzione più alta e una quota maggiore dei profitti derivanti dal boom dello streaming.

Lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood non è una novità: già nel 2007 per 100 giorni circa gli studios di Los Angeles si fermarono per il fallimento delle trattative sul contratto collettivo, causando in quell’occasione alla più importante industria dell’intrattenimento globale perdite per circa 2 miliardi di dollari.

Sull’altro lato della barricata c’è l’AMPTP, la Alliance of Motion Picture and Television Producers che riunisce i principali produttori e distributori cinematografici come Disney, Universal, Sony Columbia e Warner Bros, ma anche i giganti dello streaming come Netflix e Prime Video: tutti si sono detti aperti a trattative sul contratto collettivo, ma sottolineano anche che le richieste avanzate dagli sceneggiatori fossero incompatibili con la situazione economica attuale, con molte case di produzione o piattaforme di streaming che stanno attraversando un momento complicato tra riduzione degli abbonati e sempre maggiore concorrenza.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.