Nel Paese in cui i magistrati, come si dice, parlano solo con le sentenze, il problema non c’è. Nel Paese in cui parlano dappertutto e su tutto, come succede qui da noi, il problema c’è ed è grande come una casa. Qual è? È questo: che nella serrata militanza pubblica della magistratura non c’è mai posto non si dice per una denuncia, ma neppure per una perplessità sui tanti casi di evidentissima ingiustizia di origine giudiziaria. In un ordinamento rispettoso i magistrati farebbero il gran piacere di stare zitti e non interverrebbero su qualunque argomento spiegando ai politici come devono legiferare (cioè scrivendo le leggi che piacciono alle procure), ai giornalisti cosa scrivere (cioè che i magistrati sono bravi e i politici mascalzoni) e ai cittadini come vivere per essere considerati perbene (cioè facendo gli spioni e tenendo in tasca il santino della star togata).

Ma siccome quell’ordinamento rispettoso non è il nostro, e appunto qui da noi i magistrati rivendicano ed esercitano a piene mani il diritto di illustrarci quanto è ingiusta la società che essi eroicamente si impegnano a migliorare, allora è legittimo domandarsi perché non trovino il tempo per un accenno ai malati e ai morti di carcere, per una parola sui bambini che crescono dietro le sbarre, per un dubbio davanti alla giustizia che sbatte in galera una donna perché non rinuncia a pensar male del Tav e a frequentare gente che la pensa allo stesso modo (non è uno scherzo, ne ha scritto ieri Piero Sansonetti, e le motivazioni che portano e tengono in prigione Dana Lauriola, manifestante anti-Tav, sono esattamente quelle: non può andare ai domiciliari perché continua a comportarsi “dando prova della sua incrollabile fede negli ideali politici” che l’hanno indotta a delinquere e perché risiede in un posto dove potrebbe incontrare altri “soggetti coinvolti in tale ideologia”).

Evidentemente non c’è un magistrato al quale tutta questa bella roba dispiaccia almeno un pochetto, visto che non c’è caso che nei loro editoriali (rarissimi, d’accordo), nelle loro interviste (pochissime, per carità) o nelle loro esibizioni televisive (anche più rare, lo sappiamo), questi signori ritengano di far sapere che tra le tante cose che non vanno un granché bene in questo caro Paese può esserci forse, magari, per ipotesi, almeno qualche volta, la giustizia che tratta ingiustamente le persone. Ma figurarsi.

Eppure ce lo ricordiamo il manipolo di giustizieri che convoca le televisioni per far mostra della propria coscienza in ribellione (usarono esattamente quella parola: “coscienza”) davanti al decreto che limitava la pratica della galera preventiva, cioè lo strumento per estorcere confessioni. Ma quando si tratta dell’ingiustizia commessa in nome della giustizia quella loro coscienza è impassibile.