Lette le carte, avviate le prime analisi e confronti, il protocollo Italia-Albania contro l’immigrazione clandestina mostra luci e ombre. Ma le prime, al momento, cominciano a prevalere sulle seconde. I 14 articoli del protocollo e i due allegati (ancora riservati) chiariscono ruoli e funzioni: tutto a carico dell’Italia, a cominciare dalla realizzazione dei due centri che potranno ospitare al massimo 39mila migranti ogni anno fino alla gestione interna, assistenza e sicurezza, ai rimpatri (quando possibile) e ai trasferimenti in Italia quando sono trascorsi i 18 mesi di permanenza nel Centro per i rimpatri. A carico dell’autorità albanese resta solo la sicurezza esterna ai due centri. Sono tre le criticità più evidenti emerse in queste ore: il rispetto e la tutela dei diritti umani; i costi vivi per l’Italia; le tensioni nella maggioranza visto che la premier ha gestito tutto in prima persona scavalcando nei fatti Viminale e Farnesina. Questa alla fine sarà la criticità più difficile da gestire: se le cose vanno come la premier Meloni immagina e il protocollo sarà operativo da aprile 2024, la leader di Fratelli d’Italia avrà a disposizione due mesi di campagna elettorale per le Europee in cui potrà, lei sola, issare lo scettro del “soccorso albanese”. Veleno puro per Salvini e Tajani che ieri hanno smentito tensioni sulla gestione di questo dossier.

La fase della scrittura delle norme di attuazione del protocollo resta il passaggio più difficile e quello che determinerà realmente il successo o meno dell’iniziativa. Gli uffici – Chigi o Viminale? – dovranno tenere insieme giurisdizione italiana, albanese, europea ed internazionale. Le norme del diritto d’asilo e le numerose convenzioni internazionali. L’ibrido di un accordo tra un paese Ue – l’Italia – e uno in predicato di diventarlo. Sulla garanzia della tutela dei diritti si stanno concentrando le opposizioni in Italia. Il governo ieri ha chiarito che per l’operatività del protocollo non serve la ratifica parlamentare. “Si tratta del potenziamento di accordi internazionali già esistenti e ratificati nel 2005 e nel 2017”, ha tagliato corto il ministro Ciriani. Le opposizioni non ci stanno: “Inaccettabile”. Supportate anche dal cardinal Zuppi presidente della Cei, accusano il governo di aver scelto una strada che nei fatti ammette la sconfitta nelle politiche dell’accoglienza. E che farà solo perdere tempo e risorse. “L’Europa non accetti compromessi sui nostri valori fondamentali”, ha detto l’ex premier Mario Draghi in un evento-confronto organizzato dal Financial Times. Bruxelles e la commissione europea, a loro volta non coinvolte nella stesura del protocollo, sono in attesa di leggere i protocolli applicativi. C’è curiosità per un “modello nuovo”, che segue la via della esternalizzazione dell’accoglienza e che nulla c’entra con il piano Uk-Ruanda.

Perde forza anche il tema dei costi. “Gestire i centri in Albania avrà un costo altissimo, molto di più dei 70 euro a migrante al giorno”, dicono le opposizioni. Da una prima indagine non sarà così. Lo spiega un funzionario di polizia che da anni gestisce in Sicilia i flussi in arrivo. Per un Centro di identificazione dove i migranti sapranno entro 28 giorni se hanno o meno diritto all’asilo “sono sufficienti 20 agenti di pubblica sicurezza, due squadre da dieci, al giorno”. A Lampedusa, durante l’estate, otto agenti hanno sbrigato 1200 richieste al giorno. Nel centro di primo arrivo nel porto di Shengjin sono previste “circa mille persone al mese”. Nel Centro per i rimpatri che il protocollo prevede nella ex base militare di Gjader, saranno sufficienti “circa dieci uomini al giorno per turno, quindi quaranta al giorno. La polizia italiana dovrà occuparsi solo della sicurezza interna perché quella esterna è in capo all’Albania”.

A Gjader – struttura chiusa, da cui non sarà possibile uscire e dove il migrante a cui è stata respinta la richiesta di asilo e in attesa di espulsione potrà restare al massimo 18 mesi – sono attese 1500-2000 migranti nell’arco del mese. In entrambi i centri è stato fissato un flusso massimo di 36-39mila migranti. Qui il costo vivo è soprattutto la diaria: se un agente guadagna 1700 euro al mese, in servizio in Albania andrà a prendere il doppio, cioè 3.400 euro. Non ci saranno invece costi vivi per le Commissioni di asilo visto che ormai da almeno due anni operano anche da remoto. Si capisce così perché l’impiego di risorse economiche previste al momento nel protocollo è pari a 16,5 milioni subito (anche per realizzare i due centri al momento inesistenti) e altri centro milioni a garanzia per il primo anno di attuazione del protocollo. Più incerti e preoccupanti altri effetti collaterali di questo Protocollo. In Albania andranno “solo” i migranti salvati dalle navi della Marina militare e della Guardia di finanza. Esclusi i salvati dalle Ong e quelli che arrivano in autonomia barchini. Su un totale di 140mila sbarchi, quest’anno a Lampedusa 92 mila sono arrivati con i barchini. Traversate destinate a questo punto ad aumentare ed essere sempre più fatali.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.