Sono da sempre considerati dei privilegiati, pagati per dare calci ad un pallone, ma il 60% calciatori italiani èa rischio povertà entro cinque anni dal ritiro. Il fenomeno allarmante è descritto da chi i campi di calcio della Serie A li ha girati in lungo e in largo con le maglie di Lazio, Juventus, Napoli e Atalanta: Guglielmo Stendardo.

IL DATO SULLA POVERTA’ – L’ex calciatore è avvocato dal 2012 e docente di diritto sportivo all’università Luiss. di Roma. Nello studio, raccontato a ‘Leggo’, Stendardo spiega che il 40% dei calciatori professionisti in Europa è a rischio povertà, percentuale che sale al 60% nel Belpaese.

STIPENDI ED ISTRUZIONE – Un problema che si basa anche sugli stipendi dei circa 3mila calciatori professionisti impegnati tra Seria, B e C: appena il 10% di questi guadagna abbastanza da vivere “di rendita”. Il restante 90% non ha risparmiato abbastanza per il futuro ed è costretto a reinventarsi una carriera dovendo spesso fare i conti con un deficit di istruzione: sette calciatori su dieci hanno solamente la licenza media.

IL TENORE DI VITA – “In Italia il giovane calciatore tende a trascurare l’istruzione e non si preoccupa di studiare e formarsi per il futuro – spiega Stendardo a ‘Leggo’ – Quasi sempre, tra i 20 e i 35 anni, pensa a giocare solo al calcio. In più, fino a quando è in attività, tende a seguire un tenore di vita alto che i buoni guadagni gli permettono. Il ridimensionamento, poi, è complicato e iniziano i disastri”.

IL MODELLO AMERICANO – L’ex calciatore lancia quindi una sua proposta, seguendo il modello dei professionisti americani dello sport, dove ci si affida a società finanziarie specializzate nella cura degli interessi dei campioni. “È chiaro che non è solo un problema di istruzione e di tenore di vita esagerato – precisa infatti Stendardo – nelle crisi finanziarie di tanti colleghi incidono anche i costi sanitari alti che i calciatori devono sostenere a fine carriera e la scarsa attenzione che mettono verso i problemi del Fisco. La scelta di un commercialista preparato e affidabile è alla base nell’attività del calciatore, sia dei big sia dei tanti atleti di serie B e di Prima divisione. Si tende ad attribuire poca importanza ai problemi fiscali, invece sono fondamentali. Trascurandoli tornano ingigantiti negli anni a venire e diventano micidiali”.

GLI ESEMPI ILLUSTRI – Proprio in Italia hanno militato alcuni dei grandi campioni del calcio poi finiti in miseria dopo l’addio al calcio. Tra gli esempi più clamorosi e tristi c’è Paul Gascoigne, l’ex campione inglese della Lazio degli anni’90, che a causa della sua vita sregolata si è ritrovato rapidamente senza soldi e affetto da problemi psichici e di alcolismo. Andreas Brehme, l’“angelo biondo” dell’Inter di Trapattoni di fine anni ’80, ha avuto problemi col fisco e una ipoteca sulla casa per 400mila euro dopo la fine della carriera sportiva. Ha lasciato il calcio nel 1993 e da allora conduce una vita da senzatetto Maurizio Schillaci, cugino del più conosciuto Totò, che durante l’ultima fase della carriera ha avuto problemi con la droga. L’ex juventino Jonathan Bachini, al Brescia con Roberto Baggio, è stato squalificato a vita per doping (fu beccato due volte per cocaina) e dopo la carriera da calciatore si è dovuto reinventare invece come operaio. Altro grande calciatore che ha fatto innamorare i tifosi italiani ma che è sprofondato in un abisso è Adriano, l’ex Parma, Inter e Roma. Il centravanti brasiliano a soli 25 anni inizierà a soffrire di depressione e dipendenza da alcol, finendo per tornare in patria tra festini e foto con armi in compagnia di narcotrafficanti, dilapidando i soldi guadagnati in carriera. Caso simbolo infine è quello di George Best, fenomeno del Manchester United morto nel 2005 dopo aver sperperato i soldi nell’alcol.

Redazione

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