La Sardegna non è l’Italia e le politiche non sono le amministrative. Solo un bimbo potrebbe credere a chi dice che “il vento è cambiato”. Ma oltre questa considerazione, nessuna armata eterogenea culturalmente prima, e politicamente poi, può resistere alla marea di problemi strutturali che ci attende e che richiede granitica omogeneità e determinazione a cambiare profondamente l’Italia, come è necessario affinché non diventi un paese debole e povero. Figuriamoci l’armata Covid che abbiamo già visto all’opera (Italia chiusa senza nemmeno uno straccio di dibattito parlamentare, Dpcm autoritari e limitativi fino all’annullamento delle libertà individuali a go go, lockdown protratti oltre ogni evidenza scientifica e limite logico – si spinsero sino a dire che “non avrebbero consentito” questo e quello – il tutto indebitandoci per 200 miliardi, più quelli successivi del superbonus, impedendo a milioni di partite iva di lavorare e umiliandole a click day perennemente fallimentari per avere 600 euro di ristori, mentre i percettori spesso indebiti di reddito di cittadinanza ne prendevano 780 per stare sul divano a pontificare del diritto alla bella vita).

E oggi qualcuno di loro propone l’accozzaglia contro, mai a favore (figuriamoci), da Calenda (1,5% in Sardegna) a Fratoianni e Soumahoro, da Bonaccini a grillini vari. Un mix di atlantisti e grillini anti Nato, sostenitori delle imprese e gente che definisce prenditori gli imprenditori, pacifisti per la resa dell’Ucraina o per il dialogo con Isis, e difensori della causa di Israele e Navalny, propugnatori del tassa sempre più e spendi (tu, Stato) senza mai preoccuparsi di chi produca quei soldi, e fan del libero mercato. Dimentichi, ovviamente, che i grillini sono quelli che fecero cadere Draghi, sostenuto dal Pd, per un… termovalorizzatore, come i reazionari che si allarmavano per le prime auto per le strade (“Oddio, un cavallo di ferro…! Vade retro).

Il lato positivo della sconfitta

La sconfitta del centrodestra può far bene a tutta la politica. Alla maggioranza, perché capisca che deve alzare il livello: meno chiacchiere inutilmente identitarie, più riforme liberali che producano opportunità e risultati per la gente. E all’opposizione, per darsi un tono, abbandonare infantili allarmi fascismo e – armati di proposte concrete e alternative – per obbligare la maggioranza a farci vedere se è capace di alzare il livello della ricetta o meno. L’esordio di Todde non va in questa direzione (“Abbiamo risposto ai manganelli con le matite”, ridicolo), ma sia mai ci si ricordi che in Italia non crescono le aziende, dunque nemmeno i salari, quindi i consumi, e che siamo su un piano anagrafico produttivo inclinato per cui sempre meno si potrà dire “graduidamende” a rotta di collo, come se i soldi pubblici fossero di nessuno, quando invece sono di tutti e meritano rispetto. E che ai bisognosi bisognerebbe rendere più semplice l’opportunità di smettere di essere tali tramite il lavoro, senza più favolette stataliste. La politica deve tornare a essere una cosa seria. Una coalizione simile offrirebbe solo una certezza: quella di un fallimento già visto. Che non vincerebbe mai un’elezione politica.