La crisi del gas è molto grave. Gli aumenti, dovuti in gran parte alle “sanzioni” imposte dalla Russia a chi manda armi in Ucraina, sono spaventosi e tutto lascia immaginare che diventeranno ancora più grandi nell’autunno e nell’inverno. Oltre il mille per cento. Le conseguenze sono due e molto inquietanti. La prima la vedono tutti, tutti i giorni, ed è la corsa dei prezzi con una inflazione che ormai si avvicina a quella degli anni 70 (ma allora le buste paga erano protette dalla scala mobile, cioè dagli aumenti automatici degli stipendi, cancellati poi tra il 1984 e il 1992). La seconda conseguenza è l’impennarsi dei costi di produzione per moltissimi settori dell’industria e del commercio.

Con il possibile contraccolpo, abbastanza imminente, del fallimento di decine e centinaia di aziende, la perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone, e un formidabile aumento dei prezzi. Il rischio è la recessione accompagnata da una fortissima inflazione. Circostanza piuttosto rara ma considerata dagli economisti come eventualità catastrofica. Del resto non c’è bisogno di economisti per capire che inflazione e recessione sono una ghigliottina per qualunque economia e portano a tragiche conseguenze sociali. Casomai stupisce che gli economisti, quando si presero le misure pro-guerra, non avessero fatto i calcoli e non avessero avvertito la politica. La quale – sembrerebbe – prese le sue decisioni a cuor leggero e senza valutare le conseguenze.

A questo punto il temporale è scoppiato in campagna elettorale. E quel che stupisce è la meraviglia e il tirarsi indietro dei partiti. I quali, spaventatissimi da un problema che non sanno maneggiare, e conoscendo se stessi e le proprie incompetenze, si rivolgono direttamente a Draghi, pregandolo di intervenire per affrontare una questione che è fuori dalla propria portata. I partiti dicono al premier: vedi tu cosa possiamo fare, governare tocca a te, noi non abbiamo gli strumenti. Stupisce? Non tanto, perché in realtà già lo sapevamo.

Dopo la folle stagione del cinquestellismo, che addirittura aveva portato a Palazzo Chigi una figura come quella di Conte, i partiti avevano fatto una scelta comunque molto chiara (anche quelli di opposizione): noi ci occupiamo di combattere tra noi per la conquista dei consensi, anche se limitati, e per vedere come dividerci il sottopotere; al governo, cioè a Draghi, lasciamo il compito di risolvere i problemi e di governare. E se dopo il 25 settembre Draghi si ritirerà a vita privata? Beh, possiamo solo incrociare le dita e – per chi ha fede – pregare, pregare, pregare Iddio…

 

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.