Gli aspiranti dirigenti scolastici che da due anni mettono al microscopio le tante, troppe stranezze del Concorso bandito dal Miur nel 2017 vedono un nuovo colpo di scena nella vicenda: il Tar del Lazio ha ordinato per la prima volta nella storia dei concorsi pubblici la consegna del codice sorgente integrale a tutti i ricorrenti. È la prima volta che avviene e il concorso Dirigenti Scolastici del 2017 è destinato a diventare un caso. Di quelli seri: perché i fatti sono gravi, i ricorrenti agguerriti e tra i tanti sospetti c’è qualche nome noto.

Ma andiamo con ordine. Bandito il corso-concorso per 2425 presidi nel novembre 2017, il Miur riceve decine di migliaia di domande, alla preselettiva sono circa 34.000 candidati e di questi 9000 passeranno alla prova scritta. La gestione ricade sotto il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Marco Bussetti, “indipendente di area Lega” secondo le biografie autorizzate. Ministro tecnico o quasi, perché la sua scelta è caldeggiata da Matteo Salvini che ne fa uno dei tratti salienti dell’accordo di governo con il Movimento Cinque Stelle. È sotto il Conte I, l’avvocato del popolo, che questo paradossale sistema di valutazione concorsuale mostra i suoi limiti. Gli scritti si svolgono in più città, in tutte le regioni. Ad esaminarli vengono selezionate trentotto sottocommissioni d’esame.

Diverse in particolare sono al Miur, primus inter pares. Le 38 sottocommissioni però danno valutazioni difformi e decisamente bislacche e nel marzo 2019 la pubblicazione di un elenco di idonei alla prova orale solleva un pandemonio. Tanto che 2400 tra i candidati esclusi si impuntano. Vogliono vederci chiaro, richiedono l’accesso agli atti ai sensi della legge 241/90. Le istituzioni non rispondono. Le Pec si moltiplicano, ma niente: da parte del Miur c’è la consegna del silenzio. Si attivano una decina di studi legali, ma ancora niente. L’accesso agli atti è negato e denegato fino a quando, cambiata gestione e arrivato il ministro Lorenzo Fioramonti, la pratica all’improvviso si sblocca. Si profila una Concorsopoli senza precedenti: sono già sei le Procure che hanno aperto procedimenti diversi, sollecitate da ricorrenti in ordine sparso.

I docenti che hanno preso parte al concorso – in molti casi già vice Presidi – sono certi di aver risposto piuttosto bene alle domande proposte, di aver soddisfatto i quesiti posti. E vogliono vederci chiaro, loro che nella vita fanno i valutatori, sul perché di valutazioni tanto negative. È questa determinazione che li porta a fondare un comitato che si trasforma in associazione, “Trasparenza è Partecipazione”, e ad ingaggiare fior di avvocati. Attraverso primi confronti tra loro, si convincono di essere rimasti vittime di un concorso preimpostato, coltivano il sospetto di essere vittime di un meccanismo in cui i vincitori erano annunciati ancora prima di parteciparvi. Tra gli elementi che sollevano, la difformità di trattamento delle trentotto sottocommissioni che operarono nelle varie sedi dislocate in tutta Italia.
Con la sentenza del Tar il presidente Sapone ha ordinato la consegna del codice sorgente, la “scatola nera” del concorso rappresentata dal software gestito dal consorzio Cineca che contiene gli identificativi alfanumerici per l’associazione dei compiti anonimi con i nomi e i cognomi dei candidati.

Il sospetto, date le incongruenze sui nominativi dei compiti corretti, è che ci fosse una “predisposizione” o comunque, a voler essere generosi, la mancanza della garanzia dell’anonimato. Una condizione che, se provata, porterà non solo ad inficiare il concorso, ma anche ad aprire un nuovo fascicolo a carico. Il dubbio ponderato è sollevato dal perito di parte, un noto esperto della Procura di Roma, Marco Calonzi che ha trovato i metadati manomessi e ha certificato nella sua relazione di asseveramento di trovarsi davanti a una situazione imbarazzante, come se – al di là delle apparenze – l’anonimato non vi fosse mai stato. Non bisogna essere periti informatici, d’altronde, per vedere quello che da cronisti abbiamo potuto verificare con i nostri occhi: valutazioni più che positive attribuite a elaborati quasi lasciati in bianco. Ed è una constatazione che chiunque può fare, dopo il recente accesso agli atti con i quali si sono potute confrontare le tracce, le risposte e le valutazioni, perfino grottesche. Un accesso agli atti a cui il Ministero per due anni ha risposto picche, infrangendo la legge sulla trasparenza: è stato sotto i Cinque Stelle che l’obbligo della trasparenza è stato disatteso. Ha rimesso le carte a posto una sentenza del Tar e del Consiglio di Stato.

Il Concorso Presidi 2017 è condito da ogni sorta di errore: la griglia di valutazione cambiata tre mesi dopo la prova scritta (a partita iniziata non si cambiano le regole del gioco), la misteriosa modalità di assegnazione dei compiti dei candidati alle citate trentotto sottocommissioni, le valutazioni di queste ultime che in moltissimi casi risultano essere illogiche e curiosamente difformi. I verbali di commissione mancanti, i files creati con il codice fiscale dei candidati prima delle operazioni di scioglimento dell’anonimato e privi di metadati, i punteggi inventati che nulla hanno a che vedere con quelli previsti dalla predetta griglia di valutazione, i giudizi positivi attribuiti a compiti che presentano non pochi elementi di riconoscimento, quali l’utilizzo di elenchi di parole, uno alternato di maiuscole e minuscole, e soprattutto voti decisamente positivi a fronte di compiti che umiliano il buon senso, consegnati con due frasi tronche. Tra questi errori per fortuna non è incorsa Lucia Azzolina.

L’ex ministra della Pubblica istruzione, presidente della Commissione cultura alla Camera per M5s all’epoca dei fatti, Governo Conte I, ha avuto la fortuna di trovarsi a essere corretta – le estrazioni delle commissioni giudicanti erano casuali – da una delle commissioni interne al Miur, nella sede di viale Trastevere a Roma. Peraltro i commissari che hanno valutato il suo compito non hanno avuto un gran da fare, il testo della Azzolina – che pure abbiamo visionato – è davvero impeccabile, un brocardo: in pochi minuti elenca codici, leggi, circolari ben glossate da dotte citazioni, anche in latino. Un compito da manuale. I codici sorgenti consegnati pochi giorni fa ai ricorrenti, ai loro legali e ai periti di parte possono adesso rivelare un indicibile segreto: se le prove scritte, corrette telematicamente, hanno garantito o meno l’anonimato dei loro compilatori o se – come sospettano le prime perizie depositate – chi correggeva i compiti scritti aveva piena consapevolezza del nome e del cognome del candidato.

La violazione dell’anonimato configurerebbe un reato penale molto grave. Certo è strano che molti commissari, durante le correzioni dei testi scritti, appena firmato il verbale, si siano dimessi in gran velocità. Sono settanta in tutta Italia i commissari che hanno provato a tagliare formalmente i cordoni che li ricollegavano alle commissioni di esame. L’area dei Cinque Stelle, e degli ex Cinque Stelle, fibrilla. L’ex Ministro Lorenzo Fioramonti si è più volte pronunciato in merito al concorso anche rilevando come «in questa situazione, che provoca caos e paradossi, si inserisce perfettamente quello che io chiamo il pasticciaccio del concorso scolastico per dirigenti scolastici del 2017. Una commissione nazionale che ha lasciato mano libera a trentotto sottocommissioni, dislocate anche in sedi quasi impossibili da raggiungere con i mezzi pubblici, che hanno agito come altrettante repubbliche indipendenti e sovrane con il risultato che alcune hanno promosso tutti gli ammessi agli orali, altre meno della metà. […] È un episodio davvero esecrabile, che mette in discussione la credibilità dello Stato nella sua interezza. Purtroppo i concorsi pubblici nel nostro Paese continuano a essere, mi si perdoni il termine poco tecnico, una grande buffonata, con la conseguenza che viene lesa completamente la fiducia che le persone hanno nelle istituzioni».

Cosa chiedono i ricorrenti, che si sono visti negare il diritto di partecipare ad una prova selettiva imparziale? «Chiedono con forza al Governo Draghi, alle commissioni Cultura di Camera e Senato e al Parlamento l’attuazione di una soluzione extragiudiziale al fine di evitare di subire i tempi biblici della giustizia ammnistrativa, che si porrebbe come ulteriore beffa di una vicenda a dir poco paradossale. Tale soluzione potrebbe attuarsi mediante un concorso riservato, con esame finale», ci dice Michele Zannini, presidente del comitato Trasparenza È Partecipazione. C’è dalla loro una legge che glielo consente, secondo quanto previsto dall’art. 1, co. 87 della L. 107/15, che comporterebbe un risparmio per le casse dello Stato, visto che il costo per un concorso riservato ai ricorrenti non è paragonabile a quello di un concorso ordinario.

Per non parlare della fine di un lungo contenzioso che si arricchirà presto – c’è da scommetterci – di altri elementi scaturenti dal recente accesso agli atti. Con la creazione di una graduatoria nazionale il cui scorrimento potrebbe avvenire nei prossimi anni scolastici puntano a risolvere l’annosa questione dei concorsi pubblici, materia su cui il ministro Renato Brunetta sta mettendo le mani. Chi, come noi, va a vedere le carte, scoperchia ogni volta un vaso di Pandora.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.