La convocazione da parte del Governo Conte degli Stati generali induce a riflettere ancora più stringentemente sullo stato della politica, della nostra democrazia e sulla gravità della loro malattia. Difficile sfuggire alla domanda di fondo, se cioè essa sia ancora curabile e, se sì, per quale rottura radicale con l’ordine delle cose esistenti. È difficile intanto, proprio a partire dall’evocazione degli Stati generali, sottrarsi alla famosa formula di Marx, secondo cui nella storia, la prima volta è una tragedia, la seconda è una farsa. In ogni caso, si può annotare che in Francia per passare dagli Stati generali dei rappresentanti dei tre ordini (clero, nobiltà, borghesia) all’Assemblea generale, che avrebbe voluto dar vita alla volontà del popolo, c’è voluta nientemeno che una rivoluzione. Da noi un’inflazione di comitati senza popolo, radunati senza un’ispirazione chiara e dichiarata, sono stati chiamati a far da corona al governo e a fornire una legittimazione tecnico-scientifica alle sue scelte.

La politica, svuotata dalle sue caratteristiche principali, che ne fanno il fondamento della vita pubblica e del suo governo, è diventata la grande assente, proprio quando una situazione di emergenza avrebbe richiesto la messa in campo della sua forza e, quando possibile, della sua potenza. Inabissatasi la vera politica, quando riemerge, essa prende la sostanza e la forma di una deforme caricatura. La sua cifra è allora quella che ci appare ora dinnanzi, la forma del litigio che prende il posto della contesa e dell’alternativa; un litigio impotente, quanto permanente, tra governo e opposizione, dentro il governo, dentro le opposizioni, tra lo Stato centrale e le autonomie regionali locali, con gli “esperti” e tra gli “esperti”. È la condizione del tutti-contro-tutti sull’inessenziale, al solo fine di alzare un proprio vessillo da mostrare nella grande giostra delle comunicazioni di massa. Sotto la turbolenza della superficie regna una calma piatta che riveste di sé i drammatici processi materiali in corso, i quali così diventano i nuovi sovrani. Essa inoltre opacizza i conflitti e le intese, insomma le scelte politiche che vengono compiute nel frattempo e con particolare peso nella dimensione europea.

Solo così si spiega il caso di un governo come quello in carica, un governo sempre moribondo, ma che non muore mai. Anche il conflitto sociale in questo quadro viene anestetizzato, la drammaticità di tante realtà, a partire da chi si ritrova a dover vivere senza alcun reddito, spunta a fatica, accanto a manifestazioni di cattivo folklore, qualche volta persino osceno, e accanto ad altre confinate nella loro ritualità. C’è anche altro, per fortuna, che si affaccia promettente, prima fra tutti la piazza antirazzista di vicinanza alle possenti manifestazioni negli Usa conto l’infame uccisione di George Floyd, da parte degli agenti di polizia. Ma certo, il conflitto sociale non è protagonista sulla scena pubblica e la politica lo esorcizza. Al contrario, l’orizzonte proposto è quello della tregua sociale e, in politica, dell’unità nazionale. Il governo moribondo non muore anche perché l’unico suo accompagnamento è di ordine evolutivo, una sorta di possibile mutazione nel governo dei capaci e degli onesti, guidati dalle ragioni di una ripresa comandata dal mercato e dall’impresa. La politica, come l’intendenza di de Gaulle, dovrebbe solo seguirle. Sarebbe il primato neoborghese instaurato sul completamento dell’eutanasia della politica, così come si era affermata in tutta la modernità.

Non so se essa possegga ancora un residuo di forza per rompere questo cerchio e tornare ad affermarsi, ma se ce l’avesse, dovrebbe al contrario del dissolversi nell’unità nazionale, tornare al classico, tornare alla fonte della sua esistenza, cioè ricominciare a dare vita ad una contesa aperta, comprensibile al “colto e all’inclita”, innervata sulla partecipazione popolare, una contesa tra la sinistra, il centro e la destra, affinché il popolo possa tornare protagonista di una scelta tra opzioni di società diverse, meglio se tra loro alternative. A partire proprio dalla risposta all’emergenza e alla crisi. A partire da queste risposte, dovrebbero prendere corpo e forza le diverse opzioni. Si è affermata a questo proposito una retorica su come il Paese affrontò l’uscita dalla Seconda guerra mondiale con la ricostruzione, si può anche assumere il riferimento storico degli anni Cinquanta, ma la verità in esso contenuta è il contrario di ciò che ci viene strumentalmente proposto.

Altro che unità nazionale! Le sinistre vennero cacciate dal governo De Gasperi mentre erano ancora in corso i lavori per la Costituzione della Repubblica. Un intero ciclo politico, dentro il quadro più generale della Guerra fredda nel mondo, fu caratterizzato dallo scontro tra le sinistre e i governi neocentristi con conflitti elettorali portentosi e con un conflitto sociale acutissimo. Nella divisione sindacale, la Cgil di Di Vittorio animò un panorama di lotte sociali con occupazioni di fabbriche e grandi scioperi, accompagnati dalla proposta del Piano del lavoro. La polizia sparava sugli operai. La discriminazione sindacale era un’arma padronale. Ma proprio quelle lotte sociali, lo scontro politico tra sinistra e centro-destra, la presenza nel popolo di una cultura che parlava di una società diversa consentirono di contenere le drammatiche conseguenze sociali delle politiche liberiste e aprire la strada verso un nuovo e diverso ciclo politico, quello degli anni Sessanta.

Non si tratta di ripetere una storia conclusa, ma di smentire una narrazione mortifera per la politica dell’oggi. Oggi c’è bisogno di restituire al popolo una possibilità di scelta sulle risposte della crisi e su quale prospettiva di modello economico, sociale ed ecologico avviare. Oscurati nella politica, i conflitti di interessi, di potere, per i diritti, di aspettative di vita sono invece acutissimi nella realtà sociale del Paese. Basterebbe per tutti assumere il prisma delle diseguaglianze. Se non ci si vuole impegnare, come pure si dovrebbe, nell’inchiesta partecipata sul campo, ci si affidi almeno agli ultimi dati dell’Oxfam sul divario intollerabile tra ricchezza e povertà. L’Italia del Coronavirus li sbatte in faccia a tutti come uno scandalo. Se il conflitto standard tra sinistra, centro e destra è uscito dalla politica, esso rivive duramente, sebbene incompiutamente, nella società.

Il ritorno al classico chiede questa operazione vitale per la politica, quella di estrarre dalla realtà composita del mondo contemporaneo, dalla realtà dell’economia dello scarto e della disumanizzazione che lo connota, dal nuovo e inedito conflitto tra capitale e lavoro, i materiali da rielaborare in proposte politiche e culturali tra loro diverse. A dire che il conflitto tra capitale e lavoro è tutt’altro che obsoleto, ce lo ricordano ancora in questi giorni non solo Bonomi, ma anche il rapporto Colao, evidenziando così tutto l’arco delle posizioni pro-impresa. Un arco peraltro assai stretto che già lascia vedere le basi fondative di una nuova destra economica.

Per rinascere la politica deve riscoprire le ragioni di fondo della contesa che l’ha fatta nascere nella modernità e che solo può dare senso e forza alla sua rinascita. La competizione, il confronto e lo scontro tra ordini di proposte programmatiche di ispirazioni diverse, a partire dalla concretezza drammatica e immediata dell’oggi, come sulle diverse alternative di società per il futuro, sono diventate questioni di vita (la sua rinascita) e di morte (quella già annunciata) della politica. Questo scontro può continuare a chiamarsi il conflitto tra sinistra, centro e destra. Sarebbe un inedito ritorno al classico, al fine di reinventarsi e ricostruirsi, dopo la fine dei due secoli che l’hanno fatta grande. Hic Rhodus, hic salta. Altrimenti la scena resterà occupata da morti che camminano, finché la società civile aprirà essa direttamente un conflitto con la politica.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.