Alla fine l’attesissimo esito del lavoro della task force Colao si è trasformato in un boomerang per il governo Conte. È lecito sospettare che, in carenza assoluta di idee, di visione, di una piattaforma programmatica degna di questo nome, il grillismo in crisi di identità e di consensi avesse pensato di “appaltare” a Colao e ai suoi un aggiornamento della propria offerta di politica economica, una sorta di download per ricaricarsi un po’. Cosa di per sé già molto indicativa per comprendere lo stato di salute del modello 5Stelle, talmente anti-politico da non saper che farsene della politica e da non aver più uno straccio di proposta da offrire, se non quello, appunto, del commissariamento della politica da parte della magistratura etica. E pazienza. Bisogna restare saldamente al potere, per cui ben venga il lavoro della task force a sostituirsi al lavoro dei partiti, anche perché le task force hanno questo di bello, che sanno più di pulito. Il problema però è un altro, e cioè che il piano Colao ha messo su carta molte proposte che sono già state avanzate dal presidente Berlusconi e dalle opposizioni di centrodestra in questi mesi.

Fra queste ce n’è una particolarmente insidiosa per Di Maio e compagnia, ed è quella che riguarda la sospensione temporanea del decreto dignità – che il 5Stelle considera un suo grande successo – per la parte relativa ai contratti di lavoro a tempo determinato. Sul punto più volte le opposizioni e le associazioni di categoria avevano evidenziato la necessità di «consentire (in deroga al decreto dignità), il rinnovo dei contratti a tempo determinato». Ed è ciò che ha chiesto anche la Commissione Colao, mentre nel frattempo si sono persi quasi mezzo milione di posti di lavoro a causa dei mancati rinnovi. Ma i punti in comune tra alcune proposte della task force Colao e il centrodestra sono molti di più e tutti verificabili. Oltre alla sospensione del decreto dignità, ci sono le richieste per il rinvio dei pagamenti delle imposte, per le compensazioni fiscali, per l’esclusione della responsabilità penale delle imprese in caso di contagio Covid e molto altro ancora.

Non sorprende, dunque, la freddezza con cui il Piano Colao è stato accolto dai grillini. Se dal centrodestra sono arrivati diversi apprezzamenti e qualche critica, dal Movimento 5Stelle non è arrivato alcunché. Al contrario, c’è stato qualche tentativo di smarcamento. A Palazzo Chigi hanno lasciato passare un’intera mattinata prima di smentire una frase di Conte che sembrava riferirsi al Piano Colao: «C’è un pezzo di Stato che rema contro le riforme e contro il governo». E nel primo pomeriggio l’economista della task force Colao, Mariana Mazzuccato, rispondendo al deputato del Pd Filippo Sensi, ha confermato di non aver firmato il piano Colao «perché mi sono dedicata molto più al lavoro sulla mission che abbiamo con una nuova squadra, con dei giovani, e siamo onorati di lavorare vicino al primo ministro». Cosa volesse dire in riferimento al lavoro sulla mission non è chiaro, ma il siluro è stato lanciato: «non ho firmato» perché «siamo onorati di lavorare vicino al primo ministro».

Adesso la patata bollente passa a Conte: che fare di questo piano Colao? Si può farlo proprio, dando al Movimento 5Stelle un programma economico purché sia, anche se molto spostato verso le istanze del centrodestra, ma utile a tenersi un po’ compatti in tempo di sfilacciamento, o invece opporvisi presentando nuove proposte agli Stati generali dell’Economia annunciati meno di una settimana fa?
La matassa non è facile da sbrogliare. Se il premier decidesse di aprire la discussione sull’economia a partire dalle proposte di Colao indebolirebbe inevitabilmente la propria leadership. Al contrario se si presentasse agli Stati generali dell’Economia senza usare quel testo come punto di partenza verrebbe a galla il suo bluff, si capirebbe che non c’è nulla da discutere perché nella maggioranza è già tutto deciso.
Il premier Conte, che negli ultimi mesi, a parole, ha fatto propri gli appelli del presidente Mattarella ad una maggiore collaborazione tra partiti di governo e opposizioni senza mai avviarla veramente, si trova adesso in un vicolo cieco, da cui può liberarsi solo in due modi: facendo proprio il piano di Colao o rinnegandolo. Tertium non datur.

Il premier potrebbe scegliere di intraprendere la “Via media” del New Pope di Sorrentino per restare in sella, ma questa scelta, oltre a non portare alcun consenso a lui e al suo partito, finirebbe per accentuare il processo di logoramento del suo governo, in corso già da tempo. La cosa che incuriosisce, infine, è che per contraddizioni decisamente minori di queste, Conte minacciò Salvini e Di Maio di dimettersi dal governo. Era giugno e non si dimise. Certo, non erano tempi di Covid. Ma chissà cosa lo spinge a restare in sella oggi, mentre le attività e le famiglie italiane boccheggiano in attesa di soldi che non arrivano. Se non la poltrona di Palazzo Chigi, forse quella del Colle più alto della politica italiana? L’ambizione non manca.