Siamo abituati a percepire senza sfumature la differenza tra garantisti e colpevolisti, spesso commettendo l’errore di identificare i garantisti con i nemici dei magistrati inquirenti o dei giornalisti e del loro diritto di informare.

Certo, a tutti farebbe piacere essere giudicati da un giudice davvero terzo, la cui naturale aspirazione alla nomina ad incarichi direttivi non possa nemmeno potenzialmente essere incisa dalla presenza degli inquirenti all’interno del CSM (basterebbe un ordine distinto con le stesse garanzie di autonomia e indipendenza), così come a tutti farebbe piacere un po’ meno clamore e rispetto per la propria persona e la propria famiglia, allorquando ci si vede sbattuti in prima pagina perché sottoposti ad indagine, con la pubblicazione di intercettazioni totalmente svincolate dal contesto se non addirittura manipolate nel significato. Ma la battaglia per il garantismo non si ferma qui, anzi non può cominciare da qui.

Tutto il nostro ordinamento non è capace di essere garantista; non lo è quando legifera, non lo è quando amministra. Non lo sono i soggetti pubblici e privati che assicurano servizi di interesse generale come, ad esempio, la tutela del risparmio. Non lo è il legislatore perché in una serie innumerevole di casi considera il mero rinvio al giudizio od anche la sola condanna in primo grado quale fattore, tal volta automaticamente, preclusivo dell’esercizio di una serie di diritti che vanno dall’elettorato passivo alla capacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione. Non lo sono le amministrazioni e i soggetti economici, perché infarciscono le loro policy e talvolta i loro contratti rispettivamente di clausole preclusive o di clausole risolutive espresse che operano automaticamente al ricorrere di un mero rinvio a giudizio.

Così che un imprenditore si vede risolvere un contratto a metà dell’opera per la sola circostanza di essere sottoposto ad un processo che nulla ha a che vedere con l’opera che sta realizzando né tantomeno con la procedura a mezzo della quale gli è stata affidata. Non lo sono le banche, che concedono e soprattutto revocano fidi già concessi avendo come faro prevalente l’informazione sommaria che gli arriva dai giornali, con l’effetto di trasformare un mero avviso di garanzia in uno strumento che porta al fallimento dell’impresa; il tutto con l’aggravante di essere svincolate da ogni forma di controllo giudiziario sulla logicità e giustezza delle scelte adottate.

È così che molte realtà istituzionali, pubbliche o private che siano, ma fortemente incidenti sulla vita economica di cittadini e imprese, finiscono per rincorrersi l’un l’altra per dimostrare quanto abbiano a cuore la questione morale. Ma non è mostrando di calpestare persone e principi che si assicurano comportamenti virtuosi. Così come non è prendendosela solo con giudici e giornalisti che si assicura il rispetto del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza. Il decreto legislativo n. 188 dell’8 novembre 2021, in recepimento della direttiva europea del 2016/343 sulla presunzione di innocenza, si occupa esclusivamente delle autorità pubbliche e non di tutti soggetti privati, quali enti, stazioni appaltanti e istituti di credito, capaci di incidere sulla vita di persone e imprese in modo assai più significativo; peraltro se ne occupa sanzionando le sole dichiarazioni delle autorità pubbliche e non anche i comportamenti di queste, perpetrati e sbandierati a mezzo di protocolli di legalità; che di legale hanno solo il titolo, se ancora nel nostro paese la Costituzione deve rappresentare il parametro primo della conformità di un atto all’ordinamento giuridico vigente.

L’attesa del processo e il processo medesimo continuano così a determinare un effetto anticipato ed espulsivo dalla vita sociale ed economica con effetti frequentemente drammatici. Occorre partire dunque dal legislatore e vietare ogni forma di discriminazione che si fondi sulla mera pendenza di un procedimento penale; passare alle stazioni appaltanti, ai grandi enti economici e agli esercenti il credito per liberarli dall’errata convinzione che per essere virtuosi occorra allontanare arbitrariamente, senza contraddittorio e senza forme di tutela, chi è sotto processo e non ha tuttavia ricevuto dall’autorità giudiziaria competente alcuna inibizione all’esercizio dell’attività economica, anch’essa garantita costituzionalmente.

Se non siamo capaci di fare questo, finiamo per legittimare l’irrogazione anticipata di sanzioni gravi, foriere spesso di danni irreversibili, ad opera di soggetti cui questa prerogativa non è riconosciuta dall’ordinamento e senza che nessuno attenda il vaglio definitivo di un giudice. Così facendo siamo noi e solo noi che trasformiamo i giudici in mostri e i giornalisti in sciacalli.