La scelta del Governo e del ministro Fitto di accorpare le ZES, le aree economiche speciali. È bene precisare che parliamo di quelle al Sud perché, al contrario, una analoga fusione non è avvenuta per le ZLS, le zone logistiche semplificate, che rimangono sotto l’influenza delle rispettive Regioni del Nord. Ricordo che queste Zone, sono aree geografiche che nascono di dimensione limitata, circoscritte, in prevalenza, attorno ai porti e retroporti, con agevolazioni e incentivi per le aziende che decidono di insediarsi. Semplificazioni delle procedure e benefici fiscali. Una prima domanda: perché questa scelta è avvenuta per il Mezzogiorno e non per il resto del Paese? È evidente che il peso delle attività e delle risorse economiche rendono le ZES più difficili da gestire e nello stesso tempo più ambiziose negli obiettivi. Questa, però, non può essere la sola giustificazione per decidere di accentrare, e sottrarre al territorio il comando delle operazioni.

Ben altra è la vera motivazione. Credo di interpretare questa nel quadro di una più ampia considerazione sull’efficacia degli interventi nel Mezzogiorno, e della scarsa considerazione che si ha, del diffuso tessuto dei poteri locali, nell’affrontare la sfida dell’efficienza. Un orientamento e un pensiero che si è rafforzato negli anni, anche a seguito della scarsa capacità di spesa delle Regioni meridionali nell’utilizzo dei finanziamenti comunitari. Scarsa capacità di spesa e un inadeguato livello di qualità degli interventi. Un Sud, in poche parole, non in grado di farcela da solo. Questo giustifica, allora, il graduale accentramento degli strumenti verso il governo centrale. È stata sciolta l’Agenzia per la Coesione, si accorpano le ZES e si porta al centro il coordinamento rafforzato dei vari programmi di spesa destinati al mezzogiorno. Dal Fondo di Sviluppo e Coesione con la parte di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari – a finire al PNRR e ai programmi complementari.

Tutto accentrato in un Dipartimento e in due Strutture di Missioni allocate alla Presidenza del Consiglio. Alle Regioni si sottrae, di fatto, la scelta diretta dei programmi di spesa. Per molti questo è un bene, se si analizzano le performance non proprio positive degli ultimi anni. Con le dovute eccezioni, ad esempio l’esperienza positiva della ZES Campania, che può essere adottata come una best practice. Il Governo ha voluto ‘compensare’ questa scelta con l’istituzione di appositi ‘Accordi per la coesione’, da redigere con le Regione e i Comuni. Anche in questo caso si rafforza la governance centrale, e si definisce il quadro delle intese territoriali nella ripartizione delle responsabilità e delle risorse finanziarie. È previsto un nuovo sistema di monitoraggio per valutare l’efficacia degli investimenti e un dettagliato crono-programma. In poche parole, si mette una camicia di forza alle Regioni del Sud. Si dirà, ma qual è lo scopo di tutto ciò? È solo un elemento punitivo in riferimento a un passato non certo esaltante, oppure un modo per limitare l’eccessivo potere discrezionale delle Regioni nello spendere, senza controllo, i miliardi dei programmi Europei? Piuttosto la necessità, ormai inderogabile, di strutturale un’efficace piano per il SUD e concentrare progetti e risorse in azioni strategiche di impatto macroregionale.

L’ obiettivo, in sintesi, è quello di predisporre progetti di reale impatto, con una visione unitaria evitando frammentazione e duplicazioni. Sono convinto che la volontà del Ministro Fitto e del Governo, sia stata influenzata da quest’ultima considerazione. È, perciò, convincente questo sforzo per realizzare un sistema, che sia da sintesi tra l’indispensabile visione di un Sud come un unicum ed azioni di impatto strategico; sistema finalmente estraneo alla vecchia e dannosa autoreferenzialità. Tutto quello che abbiamo descritto è dettagliato in atti e norme che sono in questi giorni all’esame del Parlamento. A oggi sono più di mille le proposte emendative presentate dalla maggioranza e dall’opposizione. È facile prevedere un confronto, non banale, tra le due opposte visioni.

Stefano Caldoro

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