Esistono parole palindrome, come oro, osso e ama. Parole che possono essere lette in entrambi i sensi, lettera per lettera, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Esistono frasi palindrome, come «è corta e non è sadica e non è acida se non è atroce». Oppure, in inglese: «Madam, I’m Adam». Ed esistono i palindromi sillabici. Come letale, Maremma, Nerone. Ma esistono anche domande concettualmente palindrome, che cioè possono essere intese in entrambi i sensi, questa volta logici. Tipo: «Essere o non essere?». L’inventore del palindromo pare sia stato Sotade, poeta greco vissuto ad Alessandria d’Egitto nel III secolo. Il padre nobile della domanda palindroma è un po’ più noto. Ma dopo Sotade e dopo Shakespeare, ecco, per noi italiani e per i nostri tempi, Gigi Marzullo, autore di Non ho capito la domanda. 365 dubbi e rovelli per tutto l’anno (Rai Libri). Qualche esempio di domande palindrome? La numero 2: «È meglio cercare una verità in silenzio o è meglio cercare il silenzio per non dire la verità?». O, più ancora, la numero 5: «Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare o il più grande sbaglio nella vita è quello di aver sbagliato per aver avuto paura?».

Ma non solo palindrome. Le domande di Marzullo sono specchiate, nel senso di riflesse, narcise, volgarmente potremmo dire double-face, ma più raffinatamente dovremmo parlare di domande insidiose. E insidiose perché reversibili. E qui, per non apparire esagerati, urge la citazione di Primo Levi: «Guai se tutte le frasi reversibili fossero vere, fossero sentenze d’oracolo… eppure quando le leggi a rovescio, e il conto torna, c’è qualcosa in loro di magico e rivelatorio: lo sapevano anche i latini, e le scrivevano sulle meridiane». Qualcosa di magico? La domanda 179: «Fa sempre più freddo quando fa freddo o non fa mai così freddo come quando non c’è nessuno a scaldarti?». Qualcosa di rivelatorio? La 178: «Il rischio più grande nella vita è non rischiare nulla o rischiare sempre avendo paura di rischiare?».

Perché parlare di questo libro? Semplice. Perché, visti i tempi, se invece di ristagnare nelle nostre certezze ricominciassimo a farci qualche domanda e a chiederci il perché delle cose e del nostro stare tra esse, non sarebbe poi tanto male. Marzullo, a suo modo, ci invita a fare proprio questo. L’assunto è che la domanda è quasi tutto. Tanto è vero che non solo cita il famoso saggio, secondo cui «se hai trovato le risposte a tutte le tue domande, vuol dire che le domande non erano quelle giuste», ma con maggior convinzione ricorda ciò che gli diceva la madre: «Chi non capisce è solito non fare domande». Ma, se si mette in crisi l’assoluto della certezza, non può che essere relativizzata anche la portata della domanda. Ed ecco, allora, che lo stesso Marzullo ricorda quante volte abbia incontrato «risposte interessanti per domande che non erano mai state fatte e domande interessate destinate a rimanere senza risposta»; oppure «risposte diverse alla stessa domanda e medesime risposte a domande diverse».

In ogni caso è assolutamente vero che, come dice Marzullo, una domanda cambia la vita. Ne sa qualcosa l’Adamo della Bibbia, a cui viene rivolta la prima domanda della storia umana. In Paradiso è stata appena mangiata la mela proibita e Dio, nel libro della Genesi, fa apparizione con queste parole: «Adamo, dove sei?». E da lì, quando il primo uomo esce dal nascondiglio, tutto quello che ne è conseguito. Se la prima domanda ha dunque un’origine divina, l’ultima – sempre che i robot non prevarranno – sarà di sicuro umana: già, dove siamo? Dove siamo noi uomini e donne? In questo senso, nel porre interrogativi esistenziali, Marzullo non è solo il Magritte della domanda, il Magritte del dubbio filosofico, il Magritte di Questa non è una pipa, il Magritte che invita a distinguere il vero dal reale. È anche il Carracci del dubbio direzionale. Il Carracci dell’Ercole al bivio, quello di Capodimonte, che deve scegliere tra andare verso il vizio o verso la virtù, che deve scegliere tra la donna che offre la sua nudità o quella che lo seduce suonando la lira. Ed è tale in Marzullo, come si diceva, la forza del dubbio che la prima domanda del libro è proprio sulla capacità di interrogarsi: «Il problema è la domanda o la domanda è il problema?». E come poteva mai chiamarsi l’inventore italiano della domanda palindroma, se non Gigi?