Nell’antichità greco-romana, ma anche in età rinascimentale, ebbe grande fortuna tra gli storici la teoria dei cicli nei regimi politici, in greco anaciclosi. Secondo questa teoria, imbastita in modo puntuale da Erodoto, accolta e razionalizzata da Polibio e, in epoca rinascimentale condivisa dal Machiavelli, c’è un’ineluttabilità degenerativa nelle forme di governo “benigne”, la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, che, per una loro intrinseca debolezza sono esposte al rischio di tramutarsi nel loro “doppio maligno”, rappresentato rispettivamente dalla tirannia, dall’oligarchia e dall’oclocrazia (governo dei corrotti e dei demagoghi che degenerano nel populismo).

L’alternarsi ciclico del governo “benigno” con quello “maligno”, che imita quello biologico della degenerazione per invecchiamento e della morte, si deve a cause umanissime come, per esempio, il passaggio dalla saggia monarchia alla tirannide a causa di un successore per via ereditaria del re non altrettanto saggio; l’ultima forma benigna, quella democratica, si affermerà attraverso un moto popolare che rovescerà gli oligarchi usurpatori per poi tramutarsi – e qui si ferma il ciclo per poi riprendere dall’inizio in un divenire infinito – in oclocrazia, che vede al potere le masse informi orientate dall’autocrate demagogo.

Perdonate il prologo, ma credo che possa servire a rammentare a noi stessi non solo quanto grande ed attuale sia il pensiero degli antichi, ma anche quanto talune chiavi di lettura riescano ad incastrarsi con la realtà dei nostri giorni. Pensiamo, per esempio, allo stato di salute delle democrazie liberali dell’Occidente, quello stesso che si è nutrito del pensiero greco-romano: è davvero così lontana la degenerazione oclocratica descritta da Polibio nel tempo della comunicazione digitale orientata dai padroni del web ed ora addirittura piegata alla verità artificiale dell’AI? Noi abbiamo già provato il governo dell’uno vale uno che ne rappresentava solo un assaggio ancora rudimentale, ma la traccia populistica ormai è diventata parte essenziale dell’agire pubblico, incollandosi addosso anche a quel che resta della forma-partito tradizionale. Si è verificata, infatti, una tragica eterogenesi dei fini: la ricerca del consenso che i partiti rivolgono al corpo elettorale, sembra non poter più fare a meno dell’alterazione populistica che, per sua natura, rappresenta la negazione della sovranità popolare poiché viene adoperata dall’autocrate a suo pieno beneficio saltando istituzioni rappresentative e procedure democratiche.

La rinunzia allo svolgimento di una funzione pedagogica e formativa della cittadinanza, da parte di quella politica che ancora si pone qualche problema, presenta dunque un conto salato. E che dire della felice stagione che vivono oggi i tiranni, sia quelli che legittimamente si iscrivono come tali all’anagrafe della Storia sia altri che scivolano verso lidi ambigui e maleodoranti di autocrazia, partendo, ahinoi, dagli scranni più alti della liberaldemocrazia? Lo schema operativo è collaudato e trova, naturalmente, maggiore facilità di affermazione nei regimi presidenzialistici, anche se alcuni caratteri si prestano ad essere adottati anche nei governi parlamentari: poteri accentrati nelle mani di uno solo forzando le procedure costituzionali, evocazione del popolo attraverso i social saltando la rappresentanza parlamentare, insofferenza verso gli organi giudiziari e nei confronti della stampa libera, alterazione delle regole diplomatiche nell’interlocuzione tra stati sovrani, ostilità nei confronti della cultura accademica, della libertà di critica, del pensiero divergente. Se qualcuno ci vede l’identikit di Trump non sbaglia, tuttavia su quella scia c’è parecchio altro: c’è il tramonto del ruolo dei parlamenti in quasi tutto il mondo occidentale che va a braccetto con l’idea che chi vince le elezioni e va al governo può far tutto, perché ha “la legittimazione popolare” che porta a considerare con insofferenza i limiti imposti dalle Costituzioni.

E così pochi personaggi che rispondono al nome di Trump, Xi, Putin, Erdogan, Netanyahu possono giocarsi i destini del globo. Non credo possa entusiasmare nessuno, neanche il più testardo tra i pacifisti, il commento di Trump al fallito vertice di Istanbul, che suona più o meno così: “era scontato che finisse così. Se non ci parlo io con Putin non succederà mai niente”. L’idea di una sorta di “privatizzazione” dei rapporti interstatali, l’accesso a linguaggi intollerabili nella comunicazione pubblica, la rimozione della verità dei fatti in favore dell’alterazione strumentale, sono la cifra di questo tempo incastrato, per dirla con Polibio, tra tirannide e oclocrazia. Per gli antichi dopo la degenerazione si risorge con i governi “benigni”. Lo speriamo sinceramente, anche se gli antichi non conoscevano Musk&Co.