“Ma non raccontiamoci storie, chi conosce il funzionamento dei gruppi parlamentari europei sa benissimo che una procedura delicata come quella del cambiamento di un nome non parte proprio se prima non riceve il via libera da tutte le delegazioni nazionali. Figuriamoci poi in questo caso visto che quella D che si vorrebbe sbianchettare fu non solo il riconoscimento al Pd di Walter Veltroni  ma è anche il Dna della seconda delegazione al Parlamento europeo che è quella italiana”. La deputata Pd è alla Camera in attesa del voto finale sul decreto Cutro. Ha passato la mattinata al telefono con un paio di colleghi eurodeputati. “Noi peones non ne sapevamo nulla, ma questo è veramente inaccettabile” con tanto di gestualità tipica del vaffa.

Ora va bene l’armocromista, quella è una scelta personale insindacabile. E ci mancherebbe. Ma il nome nel simbolo, no, quello no. Su questo è necessario il dibattito, cari compagni e care compagne. E invece la Schlein ha tirato dritto. Così pare, almeno, e consapevole o meno, ha dato il suo ok alla modifica del nome del gruppo europeo: non più “Pse, Socialists & Democrats” ma solo Pse, socialisti e basta.

Ora, per comprendere il peso di questo dettaglio, occorre sapere che la dizione S&D nasce grazie a Veltroni, primo segretario del Pd e fu il modo per far entrare una parte di riottosi popolari e laici, affezionati all’Alde, nel nuovo partito nato al Lingotto. F lo stesso Veltroni nel 2008 durante una conferenza stampa a Napoli a mettere in chiaro: “Il partito democratico non è un partito socialista”.

Tante storie, e segretari, sono passati sotto i ponti da allora. E oggi il capodelegazione del Pd a Strasburgo Brando Benifei, più realista del re, ha comunicato a Garcia Perez che alla segretaria del Pd Elly Schlein andava bene così. Con buona pace di quei quattro gatti cattolici e libdem rimasti nel Pd.

In tarda mattinata la segretaria ha cercato di smentire. Ma è difficile smentire Perez che certo non ha deciso da sola. In un divanetto a Montecitorio ci sono Andrea Orlando, Dario Franceschini, Enzo Amendola. “Io sono per la mozione del no” scherza ma mica troppo l’ex sottososgretario per i Rapporti con l’Europa. “Va benissimo Pse, qual è il problema” taglia corto Orlando. “Io sono della mozione Amendola” chiarisce Franceschini. E tutti scherzando si sono confessati. La segretaria deve fare un passo indietro. E’ il caso.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.