L'editoriale
Il Pd non sa cosa vuole fare da grande. Schlein prova lo scatto d’orgoglio, ma il declino può essere inarrestabile
Conte non vuole prendere nemmeno un caffè con Renzi. Eppure un tempo mangiava da mane a sera allo stesso desco di Salvini. In ogni caso, un bel rebus per Elly Schlein. Ora, nel gioco per il potere le due dispensatrici della vittoria sono, per usare le due celebri categorie di Machiavelli, la fortuna e la virtù. Ma il partner di un gioco non può essere un perdente per predestinazione.
Il perdente per predestinazione non è un giocatore, è tutt’al più un giocato (da altri). Fuor di metafora, la verità è che ancora non si capisce – almeno chi scrive non capisce – cosa il Pd voglia fare da grande: rilanciare la sua vocazione maggioritaria con un progetto riformatore che sappia parlare a tutti gli italiani, o acconciarsi mestamente alla riedizione di un Ulivo in sedicesimo con i resti di una sinistra che ha scassato i conti pubblici e fa l’occhiolino a Putin, che balla alle feste arcobaleno a cui è sconsigliata la partecipazione degli ebrei, che plaude a chi occupa abusivamente le case popolari o imbratta di vernice (non sempre lavabile) monumenti e opere d’arte.
Per esperienza personale e da qualche lettura ho imparato che non esiste un partito degno di questo nome senza un’organizzazione radicata nella società, una cultura politica condivisa e un leader riconosciuto e accettato dal gruppo dirigente e dagli iscritti. Quando queste risorse latitano, lo spettacolo non edificante delle logomachie tra capicorrente litigiosi e narcisi è assicurato. Se neanche Schlein riuscirà a suscitare uno scatto di orgoglio collettivo, come da lei stessa giustamente auspicato, che metta in soffitta personalismi e risse intestine, ho ragione di credere che il Pd sia destinato a un declino che potrebbe perfino essere inarrestabile, a uscire di scena come quei personaggi secondari che scompaiono al primo atto, quando il dramma è appena cominciato.
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