L'anno del centenario della morte
Il ricordo e la lezione del riformista Giacomo Matteotti: fare una cosa oggi ha un senso, farla domani è un errore
L’anno politico, intendo, che si aprirà in febbraio con le celebrazioni del centenario della morte di Giacomo Matteotti. Una mostra a Roma inaugurata dal presidente della repubblica.
Più che memoria del passato, la storia di Matteotti si impone sul nostro futuro politico e ruota attorno al suo essere un riformista rivoluzionario. Radicale nelle riforme per rendere l’Italia più civile e più libera, dunque investimento nella scuola, diritti fondamentali per il mondo del lavoro, difesa della democrazia parlamentare quando anche a sinistra la si riteneva un ferro vecchio, vitalità dell’organizzazione di partito. Altrettanto radicale nel proporre alleanze per ostacolare l’arrivo al potere di Mussolini. Saranno Matteotti e Turati, fin dal febbraio del 1922, ben prima della marcia su Roma, ad avanzare l’idea, poi bocciata da massimalisti e Vaticano, di una coalizione tra socialisti riformisti, popolari sturziani e liberali amendoliani. Chissà cosa sarebbe successo se si fosse concretizzata.
E oggi? Qual è il monito di quella vita scempiata ridotta a un mucchio di ossa per salvare un barlume di libertà?
Il ricordo ha un senso se può essere una lezione di vita, non se resta ancorato a celebrazioni di maniera. I tempi sono indubbiamente diversi. Tuttavia. Cinque fattori tendono a ripetersi: desiderio dell’uomo (della donna) solo al comando, linguaggio offensivo, crudo, amplificato dai social, superficialità di analisi, tendenza a chiudersi in un preoccupante sovranismo, tendenza a ridiscutere diritti civili da tempo conquistati.
Temo che questo orizzonte non muterà nel medio periodo.
Temo che senza la costruzione di un fronte riformista ampio e coeso che punti con decisione agli Stati Uniti d’Europa e che riunisca attorno a un progetto per l’Italia le tre anime che l’Europa l’hanno fatta davvero, l’attuale capo del governo sia destinato a durare oltre i suoi meriti.
L’idea di Matteotti era presentare un’alternativa al fascismo rompendo con la tradizione di conflitti che aveva messo in un angolo le forze di centrosinistra nel primo dopoguerra. Le forze politiche riformatrici, non i partiti massimalisti. Dopo la sua morte anche De Gasperi cercherà di battere quella strada accogliendo la proposta che proveniva da Filippo Turati e da una parte cospicua degli aventiniani. Troppo tardi.
Il rischio che non possiamo correre è che, cento anni dopo, seppur, lo ripeto, in condizioni mutate, si manifesti di nuovo un ritardo colpevole di cui torneremo a discutere all’indomani del centenario, quando ricorderemo altri morti ‘ammazzati’, Piero Gobetti e Giovanni Amendola, per nulla distanti dai propositi di Matteotti.
Il tempo, in politica, è decisivo. Fare una cosa oggi ha un senso, farla domani è un errore. E gli errori si pagano. Sempre.
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