Marco Mescolini potrà tornare ad essere il procuratore di Reggio Emilia o di qualche altra Procura. Lo ha deciso l’altro giorno la Settima sezione del Consiglio di Stato, presidente Marco Lipari, estensore Pietro De Bernardinis, consiglieri Raffaello Sestini, Marco Valentini e Brunella Bruno, annullando la delibera del Csm di febbraio 2021 con cui era stato rimosso dall’incarico, degradato a semplice sostituto, e bandito da tutti gli uffici giudiziari della Regione Emilia Romagna.
Mescolini era stato denunciato al Csm a settembre dell’anno precedente da quattro sue sostitute, le pm Maria Rita Pantani, Isabella Chiesi, Valentina Salvi e Giulia Stignani. Le quattro magistrate, avendo letto per settimane ciò che i giornali riportavano nei confronti del loro capo, “non erano più nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria” e la Procura aveva perso “credibilità ed autorevolezza”.

All’indomani dell’esplosione del Palamaragate, che determinerà anche la durissima reprimenda del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tutti i media nazionali avevano infatti iniziato a raccontare il sistema delle nomine e degli incarichi dei magistrati, improntato alle peggiori logiche clientelari. Mescolini, il cui nome girava fra quelli che avevano chiesto una premura, convocò subito una riunione ristretta dove giurò sulla testa dei suoi figli di non essersi mai rivolto al presidente dell’Anm Luca Palamara per essere promosso. I giornali, dopo poco, pubblicarono allora le chat integrali fra Palamara e Mescolini, da quest’ultimo definito il Re di Roma, e nelle quali egli si autosponsorizzava per diventare procuratore di Reggio Emilia, posto ambito da uno dei procuratori aggiunti di Napoli, peraltro più titolato e più anziano di servizio.

A seguito della pubblicazione di queste chat, Mescolini si chiuse in se stesso e non convocò altre riunioni per fornire giustificazioni, nonostante l’imbarazzo dei pm alla luce delle sue interviste, contro la realtà dei fatti, rilasciate proprio per smentire di aver avuto contatti con Palamara. Ma non solo. Una delle magistrate si spinse addirittura ad affermare che avrebbe subito “pressioni” da Mescolini per posticipare delle indagini molto delicate che riguardavano esponenti politici. Che il clima in Procura non fosse dei migliori si percepiva infine, sempre secondo le magistrate, da un cartello affisso da Mescolini sulla porta del suo ufficio con la scritta “vietato bussare”.

Anche l’Avvocatura di Reggio Emilia decise di prendere posizione e si perse il conto delle interrogazioni parlamentari presentate per fare chiarezza su una Procura da più parti ritenuta in quel momento “non imparziale nell’esercizio dell’azione penale”.
Il Csm non perse tempo e decise quindi di affidare la pratica ad uno dei magistrati più famosi d’Italia, il pm antimafia Nino Di Matteo, che svolse una istruttoria quanto mai puntale, sentendo le magistrate, il procuratore generale di Bologna, ed in più occasioni lo stesso Mescolini per consentirgli di fornire gli opportuni chiarimenti su una vicenda che stava compromettendo l’immagine, già abbondantemente compromessa, della magistratura italiana. Di diverso avviso, come detto, il Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso di Mescolini, ritenendo ‘incompleta’ l’istruttoria di Di Matteo e non sufficienti gli elementi raccolti per giustificare un trasferimento di sede. Toccherà ora al vicepresidente Fabio Pinelli e alla sua squadra dare corso a questa quanto mai inaspettata sentenza di Palazzo Spada.