Avanza nel Paese, con sempre maggiori difficoltà,  a suon di paroloni roboanti, il nuovo mantra del “pecorismo”, la teoria del burrone che pretende di condurci nel salto nel vuoto con un belo argomentativo : “poi si vedrà”. Sconcerta leggere autorevoli esponenti, di sicura matrice riformista, non solo cedere progressivamente al volgare slogan del taglio lineare, concetto opposto di una riforma, ma nel tentativo di dimostrare una presunta coerenza, anche con riferimenti storici che nulla c’entrano, anzi aggravano il loro dire, addirittura si spingono a spiegarci che la non riforma, del non partito, per una non Costituzione in realtà è un primo passo per successive riforme, la base di partenza per imperturbabili futuri scenari, nel frattempo si salta nel vuoto del burrone ben sapendo di cadere.

E così, pur di lisciare il pelo nel presunto verso giusto, nel silenzio spero imbarazzato, di sicuro imbarazzante, dei costituzionalisti del NO alla riforma Renzi, teorici della deriva autoritaria, scomparsi dalla scena, dopo aver festeggiato con la famosa “mucca” nel corridoio, la teoria del burrone pretende di spingerci a rinnegare il fondamento delle democrazie liberali, il diritto alla rappresentanza.

Il punto è questo: la rappresentanza. Altra cosa è la modalità della sua formazione che passa attraverso le leggi elettorali (proporzionale, maggioritario, misto ecc). Modifica della rappresentanza  e legge elettorale non sono sullo stesso piano ed il tentativo di conferire a quest’ultima  lo stesso “rango” di scelta di campo, al pari di una modifica costituzionale,  anzi quale contrappeso salvifico al “mostro” del taglio, farebbe rabbrividire i nostri Padri costituenti che hanno dato vita alla “Costituzione più bella del mondo”. A proposito chiedo: esattamente da quando è diventata un po’ meno bella?

La qualità della rappresentanza non è solo un numero. Vero, approvo. Sulla base di quale astrusa elaborazione intellettuale la sua riduzione lineare conferirebbe qualità ? E che cos’è, questa è la domanda finale, la qualità della rappresentanza? Da tempo ci si interroga sul punto. E per quanto distanti possano essere le diverse teorie a riguardo, credo che una base comune possa essere la convergente necessità di passare da una democrazia esclusivamente rappresentativa, a volte ridotta a ratifica, ad una decidente. Con la vittoria del SI avremo esattamente la stessa identica democrazia meramente rappresentativa, resa ancora più evanescente dai numeri, mentre  nulla cambierebbe sulla capacità di incidere sulle decisioni, con una esasperazione del bicameralismo perfettamente paritario, anche in ragione della previsione di rendere omogeno il corpo elettorale tra Camera e Senato. Con la vittoria del SI avremmo lo stesso assetto conflittuale tra poteri e competenze tra Stato e Regioni esploso durante la crisi sanitaria.

La riduzione dei numeri della rappresentanza aumenta la forza di ricatto dei singoli. Cosa già ampliamente sperimentata con la riduzione del numero dei componenti dei consigli regionali e comunali, a fronte di risparmi ridicoli soprattutto negli enti locali, , dove pochi, anche solo qualche unità, possono piegare una maggioranza democraticamente eletta. Ora si pensi al Senato: duecento componenti. Ammesso e concesso che una coalizione ottenga il 60%  dei suoi componenti (circostanza molto complicata con qualunque legge elettorale) avremmo una maggioranza composta da 120 membri, ed una minoranza da 80. Cioè venti deputati deterrebbero la Golden share di un ramo del Parlamento. Se la maggioranza più realisticamente avesse numeri più bassi, allora una decina di senatori eserciterebbe il potere di ricatto verso un intero Paese.  Si potrebbe contestare che anche con i numeri attuali le maggioranze susseguitesi nel corso di diverse legislature al Senato sono state sempre ballerine. Concordo, figuriamoci allora come peggiorerebbe la situazione con la riduzione del numero dei suoi componenti.

Il costo di un caffè per italiano, questo è il risparmio che produce il taglio della casta, mentre il Ministro che la propone può moltiplicare i costi del suo staff come mai nella storia? Ma se questa è la logica allora perché non risparmiare di più, ed ancora di più, continuando a tagliare democrazia a suon di caffè? E perché continuare con questo rito del voto, meglio sorteggiare. Mi pare di ricordare che qualcuno l’ha già proposto.

Alcune Regioni saranno violentate nella loro rappresentanza provocando una frattura nel paese: Marche, Abruzzo, Basilicata, Liguria, Sardegna  avranno meno rappresentanza, in proporzione, ad esempio del Trentino. Non solo. Con la riduzione del numero dei parlamentari le candidature si concentreranno negli agglomerati elettorali maggiori, nelle gradi Città, nelle metropolitane. Interi territori di provincia, ovunque in Italia, non avranno candidature ed eletti.

Che cosa accade dopo ? A questa domanda cerco di rispondere ammettendo di aver votato una sola volta la modifica costituzionale nel rispetto dell’accordo assunto tra le attuali forze di maggioranza. Fu un errore fare nascere un Governo sulla base di quell’accordo che imponeva una riforma senza senso come quella del taglio lineare dei Parlamentari?  La storia ci ha posto davanti ad un bivio: pieni poteri a Salvini o governo di emergenza. Allora non fu facile decidere, non lo è adesso. Nessuno poteva immaginare cosa sarebbe accaduto da lì a poco, con la crisi sanitaria ed economica del Covid, ma francamente pensare a come i “Bolsonaro”  italiani l’avrebbero gestita, in Italia ed in Europa, tutto rende merito a chi quella lucida mossa la fece, Matteo Renzi,  rendendo possibile ciò che era impossibile, il governo con i 5 Stelle.

In ragione di quell’accordo tuttavia si può fare finta che il burrone non ci sia?  Non è possibile. In realtà quell’accordo non è rispettato, non c’è intesa sulla legge elettorale, né sono stati modificati i regolamenti, né granititi i famosi correttivi senza i quali forze politiche anche con il 20% non eleggerebbero in Senato nelle  Regioni più piccole, ovvero il caos. Ma si risponde che poi si vedrà, appunto, la teoria del burrone.

L’emergenza sanitaria ha reso evidente come, al contrario della narrazione “travagliata”, nel senso alla Travaglio, proprio nei momenti di crisi la funzione della rappresentanza sia fondamentale ed irrinunciabile.

Il Covid ha cambiato tutto. La società e l’economia sono piegate, indebolite, lo saranno per molto tempo, assisteremo a conflitti sociali e tensioni crescenti,  anche generazionali.  In questo clima rendere evanescente la funzione della rappresentanza significa costruire il “mostro” perfetto per consegnare  i  “pieni poteri” ai veri nuovi forti , dell’economia e della finanza, che da questa crisi verranno fuori, capaci di orientare  con un Parlamento ridotto a contorno, in pasto a lobby e ricatti.

Il risultato non è scontato. Chi ha votato la riforma Renzi, il 40% degli italiani,  ha votato appunto una riforma, una nuova visione dello Stato:  dal superamento del bicameralismo, alla trasformazione del Senato, da una sola Camera eletta, ad un nuovo assetto di poteri tra Stato e Regioni. Oggi non avrebbero alcuna ragione per votare il contrario di ciò che hanno sostenuto nel precedente referendum. Il fronte del NO di allora, oggi ancora in gran parte silente, se avesse un minimo sussulto di coerenza dovrebbe scendere in campo compatto per ribadire il loro NO alla modifica della Costituzione più bella del mondo.

Non mi sfugge che non esistono automatismi,  ma responsabilità e responsabili si. Io non voglio essere responsabile, più di quanto lo sia già stato con il mio voto in Parlamento, del tuffo nel burrone, voto NO.

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Nato il 09 maggio 1976, ad Ortona (CH), risiede ad Arielli in Abruzzo. Eletto in Parlamento per la prima volta nel 2018 con il PD, segue Renzi nella costituzione di Italia Viva, attualmente Capogruppo in commissione Lavoro. All’età di 23 anni è eletto in Provincia dove ha svolto due mendati. All’età di 29 anni entra in Consiglio regionale con La Margherita. Viene confermato nelle due lezioni successive per tre mandati complessivi. In Regione ha svolto il ruolo di presidente della commissione agricoltura, Capogruppo della Margherita, Capogruppo del PD, Sottosegretario alla Presidenza della Regione con delega a trasporti ed infrastrutture. Laureato in Economia aziendale è commercialista e revisore dei conti. Impegnato ad animare il dibattito dei cattolici democratici in politica, ha particolarmente approfondito la vite, gli scritti, le riflessioni di Aldo Moro, Dossetti, della sinistra DC, nonché la storia della Dc nella sua Regione, l’Abruzzo.