Il Sì&No del giorno
Il Tar promuove una ragazzina bocciata con sei insufficienze: “No, questi ricorsi sono sintomo di un malessere tra scuola e famiglia”
Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sulla decisione del Tar di promuovere una ragazzina precedentemente bocciata con sei insufficienze. Abbiamo chiesto un parere a Marco Campione, giurista, che si dice contrario all’utilizzo esasperato della formula del ricorso al Tar, e al collega Andrea Vernata che, al contrario, si dice favorevole alla scelta operata dalla famiglia.
Qui di seguito, il parere di Marco Campione.
Una recente sentenza del TAR ha portato alla ribalta una discussione che periodicamente riaffiora: i ricorsi alla giustizia amministrativa da parte delle famiglie per annullare bocciature o sospensioni. A prescindere dal contenuto di questa o altre sentenze, credo sia importante chiedersi se il ricorso alla giustizia amministrativa produca danni ai compiti che la società assegna alla scuola, che non è una “amministrazione” come tutte le altre.
Non è quindi del piano giuridico che voglio parlare, anche perché non ne avrei le competenze. Sicuramente se la magistratura ha ritenuto di ravvisare difetti di motivazione in quella bocciatura ha fatto bene a chiedere a quel consiglio di classe di precisare e se il consiglio di classe ha ritenuto di cambiare la propria scelta si sarà sentito in qualche modo in difetto.
Ma il punto non è questo, per me: quel ricorso e gli altri analoghi sono il sintomo di un malessere nella relazione tra scuola e famiglia; figlio di un malessere più generale della nostra società, che in questo particolare contesto produce un danno enorme. Si parla spesso di fragilità delle nuove generazioni, ma che dire della fragilità adulta? Che dire della funzione genitoriale, travolta da una crisi di ruolo, di responsabilità e a sua volta anche di autorevolezza?
Dobbiamo interrogarci su come ripensare modi e tempi che ci vedono operare all’interno del processo di crescita e del successo formativo di ciascun figlio e di ciascun studente. Maggiore consapevolezza del fine ultimo della propria funzione: sia quella di genitore, che non è proteggere, ma accompagnare i figli nel proprio singolare percorso di vita; sia quella docente, una professione il cui obiettivo è, secondo la celebre definizione di Morin, una testa ben fatta. Su queste fondamenta dobbiamo costruire ogni giorno una scuola che metta davvero al centro studentesse e studenti.
Per portare avanti un così vasto programma è condizione necessaria, anche se ovviamente non sufficiente una relazione educativa tra insegnanti e studenti fondata sulla stima e la fiducia reciproche. A questo serve un patto educativo tra scuola e famiglia solido, a sua volta fondato sulla corresponsabilità educativa.
Assistiamo invece alla tendenza opposta: separare sempre più scuola e famiglia, scuola e contesto nel quale essa agisce. Estremizzo, e mi scuso, ma serve alla sintesi. Da un lato una scuola che chiede di essere lasciata in pace e esprime questa ricerca di pace dando 6 a tutti (“così non ho problemi”) oppure 4 a tutti (salvo poi “tirare su il voto” in sede di scrutinio); dall’altra le famiglie, che si disinteressano di quello che accade, salvo, appunto, ricorrere al TAR.
Chi se lo può permettere. Gli altri subiscono inermi le conseguenze di un sistema che aumenta le diseguaglianze e colpisce selettivamente chi proviene da contesti socialmente, culturalmente o economicamente più svantaggiati. La scuola del merito, se si riuscirà mai a realizzarla, è soprattutto per loro. Ecco perché se avessi la bacchetta magica la userei per escludere la possibilità di ricorrere al TAR: è l’alibi per giustificare l’ansia di quieto vivere, è uno strumento di ricatto di genitori iper protettivi in crisi di identità, mina l’autorevolezza della scuola nel suo complesso, alimenta distanza e diffidenza là dove servirebbero stima e rispetto.
E chi ci garantirebbe di fronte a un arbitrio, sempre possibile? Non c’è qui lo spazio per approfondire, ma se avessi quella bacchetta magica, risolverei il problema alla radice: investire risorse in tutoraggio, recupero e potenziamento; rivedere il curricolo -i “programmi”- nella direzione della essenzializzazione e personalizzazione; limitare le ripetenze alle sole materie insufficienti e, di conseguenza, il valore legale del titolo di studio.
Senza bacchetta magica si può invece immaginare uno strumento capace di intervenire senza ledere il principio di autorità che le istituzioni devono incarnare. Togliere al TAR il potere di dirimere le controversie, salvo eventualmente pochissimi casi stabiliti dalla Legge, e affidarsi a un organismo composto da insegnanti e dirigenti in quiescenza. Un consesso capace di analizzare con competenza le scelte dei colleghi, richiamandosi ai principi che sono alla base delle norme che regolano la valutazione o i diritti e doveri degli studenti, non sempre conosciute adeguatamente.
Un’occasione di scontro tra scuola e famiglia sostituita da un’occasione di confronto; un giudizio amministrativo, che necessariamente sarà solo sulla correttezza delle procedure, sostituito da uno strumento di lavoro e di crescita professionale.
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