«La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere da quelle vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente». La vicenda degli studenti ai quali è stato rivisto il voto in condotta, mi ha ricordato le parole che Keynes scrisse nella Prefazione alla Teoria generale.

Riassumiamo i fatti per chi non li conoscesse. In una scuola di Rovigo due studenti si rendono protagonisti di un episodio molto grave nei confronti di una loro docente, colpendola con alcuni pallini e riprendendo la scena. Nella valutazione intermedia del primo quadrimestre prendono 5 in condotta, mentre nel momento dello scrutinio finale prendono 8 e 9. Letta la relazione degli ispettori, il ministro Giuseppe Valditara scrive alla dirigente scolastica invitandola a riconvocare il consiglio di classe per rivedere il tutto dal momento che la valutazione finale, lo dice la legge, non deve essere relativa al solo secondo quadrimestre ma a tutto l’anno. Ai due ragazzi il nuovo scrutinio assegna 6 e 7.

L’attenzione mediatica terminerà qui, ma forse si può approfittare della fine del clamore per provare a fare un ragionamento più ampio e disteso, che esca dal circuito degli addetti ai lavori e si concentri sulle idee vecchie che si annidano negli angoli della nostra mente. Secondo il Gazzettino Veneto, la dirigente avrebbe dichiarato che il consiglio di classe ha deciso di applicare «le medie tra i voti in condotta del primo e del secondo quadrimestre». Non solo: se si prova a capire dai giornali perché un ragazzo aveva preso 8 e l’altro 9, si scopre che è il ragazzo che ha “impallinato” la prof ad aver preso 9 (poi abbassato a 7), mentre a quello che ha solo ripreso la scena era stato dato 8 (poi abbassato a 6).

Ovviamente questa differenza può dipendere da un diverso comportamento “complessivo” dei due studenti, ma leggendo i giornali si scopre anche che il primo «ha una media impeccabile» mentre l’altro più ordinaria. E viene il dubbio che il giudizio sul comportamento possa essere stato influenzato da fattori che con il comportamento hanno poco a che fare. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le pagelle avrà certamente notato, infatti, una frequente correlazione (più o meno spuria) tra la condotta e il rendimento.

A me sembra che questa vicenda, per chi la voglia usare per leggervi indizi di come funzionano gli scrutini, confermi alcune prassi che sono purtroppo comuni. Vale per le discipline almeno quanto vale per la disciplina. L’ennesimo sintomo di quella che chiamo la “dittatura della media aritmetica”, che condiziona la valutazione, un po’ come Heisenberg ci ha spiegato che l’osservatore condiziona l’osservazione. Fare la media, però, non è solo poco conforme alla normativa (il combinato disposto, per chi vuole approfondire, tra il dpr 122/2009 e il dpr 249/1998), ma profondamente inutile. Inutile e dannoso: serve solo a perpetuare (se non a produrre) le diseguaglianze che contraddistinguono il sistema scolastico del nostro paese. Eppure è prassi talmente consolidata nei docenti e data per scontata da studenti e famiglie, che non ci si fa nemmeno più caso.

Non serve a nulla, se non a soddisfare il nostro narcisismo, indignarci o esultare per il 9 o per il 6 dei due ragazzi, dividendoci in opposte tifoserie stando comodamente seduti sugli spalti. Se abbiamo a cuore una scuola che metta davvero al centro studentesse e studenti dovremmo piuttosto concentrarci su come, a ben vedere, quei 6 e quei 9 abbiano tanto in comune: sono entrambi figli di una prassi dura a morire.

Un secolo e mezzo fa il ministro Coppino, raccomandava di «non mutare né troppo, né spesso» le norme sull’istruzione, perché «la durata occorre a formare le consuetudini, senza cui non valgono le leggi». Le leggi che consentirebbero un approccio diverso sulla valutazione e sui diritti e doveri delle studentesse e degli studenti sono, rispettivamente, di 15 e 25 anni fa. Ma a nulla valgono le norme, nemmeno quelle alle quali è stato dato il tempo per ‘formare le consuetudini’, nemmeno quelle di buon senso, se il senso comune continua a agire indisturbato per mortificarle.